Immunoterapia
Sabato, 21 Aprile 2018

“Medicina di... imprecisione” alla riscossa!

A cura di Massimo Di Maio

L’aggiunta dell’immunoterapia con pembrolizumab alla chemioterapia di prima linea dei pazienti con tumore del polmone avanzato documenta un rilevante beneficio: significa che, in barba ai tentativi di identificazione di fattori predittivi, andiamo verso “tutto a tutti”?

Gandhi L, Rodríguez-Abreu D, Gadgeel S, Esteban E, Felip E, De Angelis F, Domine M, Clingan P, Hochmair MJ, Powell SF, Cheng SY, Bischoff HG, Peled N, Grossi F, Jennens RR, Reck M, Hui R, Garon EB, Boyer M, Rubio-Viqueira B, Novello S, Kurata T, Gray JE, Vida J, Wei Z, Yang J, Raftopoulos H, Pietanza MC, Garassino MC; KEYNOTE-189 Investigators. Pembrolizumab plus Chemotherapy in Metastatic Non-Small-Cell Lung Cancer. N Engl J Med. 2018 Apr 16. doi: 10.1056/NEJMoa1801005.

Recentemente, lo studio KEYNOTE-024 aveva dimostrato la superiorità del trattamento con pembrolizumab, anticorpo monoclonale anti-PD1, rispetto alla chemioterapia a base di platino, nei casi di tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC) avanzato, caratterizzato dall’assenza di mutazione di EGFR o riarrangiamento di ALK, con espressione elevata (almeno pari al 50%) di PD-L1 a livello delle cellule tumorali. Sulla base dei risultati di tale studio, e della successiva approvazione di pembrolizumab per l’impiego clinico in tale indicazione, l’attuale algoritmo terapeutico per il tumore del polmone prevede, nei casi non oncogene-addicted, la scelta tra chemioterapia e immunoterapia sulla base del livello di espressione di PD-L1: pembrolizumab è la terapia standard nei casi con espressione elevata, mentre la chemioterapia rimane lo standard nei casi con espressione inferiore al 50%.

Un precedente studio randomizzato di fase II, KEYNOTE-021, aveva evidenziato un outcome migliore, in pazienti non selezionati per espressione di PDL1, con la somministrazione di pembrolizumab in aggiunta alla chemioterapia con platino, rispetto alla chemioterapia da sola.

Sulla base dei promettenti risultati di tale studio randomizzato di fase II è stato condotto lo studio randomizzato di fase III KEYNOTE-189, presentato ad aprile 2018 al meeting annuale dell’American Association of Cancer Research (AACR) e simultaneamente pubblicato sulle pagine del New England Journal of Medicine.

Lo studio KEYNOTE-189 era disegnato come studio randomizzato in doppio cieco, che prevedeva la randomizzazione, in rapporto 2:1, di pazienti affetti da tumore del polmone non a piccole cellule, ad istologia non squamosa, senza mutazione di EGFR e riarrangiamento di ALK, con malattia metastatica.

  • I pazienti assegnati al braccio sperimentale ricevevano chemioterapia (cisplatino o carboplatino + pemetrexed) + pembrolizumab alla dose fissa di 200 mg, ogni 3 settimane, per 4 cicli,seguita da pembrolizumab fino a un massimo di 35 cicli + mantenimento con pemetrexed.
  • I pazienti assegnati al braccio di controllo ricevevano chemioterapia (cisplatino o carboplatino + pemetrexed) + placebo, ogni 3 settimane, per 4 cicli,seguita da placebo fino a un massimo di 35 cicli + mantenimento con pemetrexed.

Il disegno dello studio consentiva il crossover alla mono-terapia con pembrolizumab, per i pazienti assegnati al braccio di controllo, dopo la progressione di malattia.

Nel lavoro gli autori specificano che endpoint primari dello studio erano la sopravvivenza globale (OS, overall survival) e la sopravvivenza libera da progressione (PFS, progression-free survival), determinata mediante revisione radiologica centralizzata, indipendente, in cieco (il protocollo allegato alla pubblicazione identifica la PFS come endpoint primario e l'OS come endpoint secondario).

Per entrambi gli endpoint, il disegno ipotizzava una riduzione del rischio pari al 30% (hazard ratio 0.70) a favore della combinazione rispetto alla chemioterapia da sola.

Lo studio ha visto la randomizzazione di 616 pazienti (su un totale di 965 pazienti sottoposti a screening), in 118 centri internazionali, tra cui varie istituzioni italiane. Nel dettaglio, 410 pazienti sono stati assegnati al braccio sperimentale e 206 pazienti sono stati assegnati al braccio di controllo.

Dopo un follow-up mediano pari a 10.5 mesi, la sopravvivenza globale è risultata significativamente migliore per i pazienti assegnati al braccio di chemioterapia + pembrolizumab (probabilità di sopravvivenza a 12 mesi pari al 69.2% rispetto al 49.4%, hazard ratio 0.49, intervallo di confidenza al 95% 0.38 – 0.64, p<0.001).

L’analisi di sottogruppo ha documentato un vantaggio simile in sopravvivenza globale in tutti i sottogruppi di pazienti classificati sulla base dell’espressione di PDL1:

  • hazard ratio 0.59 (intervallo di confidenza al 95% 0.38 – 0.92) nei casi con espressione di PDL1 assente;
  • hazard ratio 0.47 (intervallo di confidenza al 95% 0.34 - 0.66) nei casi con espressione di PDL1 superiore all'1%;
  • hazard ratio 0.55 (intervallo di confidenza al 95% 0.34 – 0.90) nei casi con espressione di PDL1 compresa tra 1 e 40%;
  • hazard ratio 0.42 (intervallo di confidenza al 95% 0.26 – 0.68) nei casi con espressione di PDL1 superiore o uguale al 50%.

La combinazione di pembrolizumab e chemioterapia è risultata superiore alla chemioterapia da sola anche in termini di sopravvivenza libera da progressione: nel dettaglio, la PFS mediana è risultata pari a 8.8 mesi nel braccio sperimentale, e pari a 4.9 mesi nel braccio di controllo (hazard ratio 0.52, intervallo di confidenza al 95% 0.43 - 0.64; p<0.001).

L’analisi di sottogruppo per la PFS nei sottogruppi di pazienti classificati sulla base dell’espressione di PDL1 ha prodotto i seguenti risultati:

  • hazard ratio 0.75 (intervallo di confidenza al 95% 0.53 – 1.05) nei casi con espressione di PDL1 assente;
  • hazard ratio 0.44 (intervallo di confidenza al 95% 0.34 - 0.57) nei casi con espressione di PDL1 superiore all'1%;
  • hazard ratio 0.55 (intervallo di confidenza al 95% 0.37 – 0.81) nei casi con espressione di PDL1 compresa tra 1 e 40%;
  • hazard ratio 0.36 (intervallo di confidenza al 95% 0.25 – 0.52) nei casi con espressione di PDL1 superiore o uguale al 50%.

 Eventi avversi severi (grado 3 o superiore) sono stati registrati nel 67.2% dei pazienti trattati con la combinazione di pembrolizumab e chemioterapia, e nel 65.8% dei pazienti trattati con la chemioterapia da sola.

Sulla base dei suddetti risultati, la combinazione di pembrolizumab e chemioterapia con platino e pemetrexed si propone come nuova opzione terapeutica nei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule avanzato, ad istologia non squamosa, indipendentemente dall’espressione di PDL1.

Dopo il tentativo di “personalizzazione” della terapia sulla base del livello di PDL1, che ha portato lo stesso pembrolizumab a diventare il trattamento standard in caso di espressione elevata del biomarker, tale risultato rappresenta in fondo una vittoria della “medicina di imprecisione”, dal momento che la combinazione di chemioterapia e immunoterapia si propone come standard in tutti i pazienti, indipendentemente dalle caratteristiche del singolo caso. 

Gli autori commentano i risultati definendoli “practice-changing”. Il beneficio appare clinicamente rilevante, sia in termini di sopravvivenza libera da progressione che di sopravvivenza globale. Anche se una rilevante percentuale dei pazienti assegnati al braccio di controllo ha poi ricevuto, al momento della progressione, un trattamento immunoterapico, lo studio ha dimostrato un beneficio in sopravvivenza globale, suggerendo che l’impiego “precoce” in prima linea di un immune checkpoint inhibitor possa produrre risultati migliori rispetto all’impiego in seconda linea o successiva.

Mentre lo studio KEYNOTE-024 aveva consentito di commentare l’impiego dell’immunoterapia come alternativa alla chemioterapia, lo studio KEYNOTE-189 propone la combinazione delle 2 strategie terapeutiche, con le relative implicazioni in termini di tossicità e di eventi avversi. Il disegno dello studio non consente di capire se, nei pazienti con malattia caratterizzata da elevata espressione di PDL1, la combinazione di chemioterapia e pembrolizumab sia effettivamente meglio rispetto al pembrolizumab da solo, che ne rappresenta l’attuale standard terapeutico.

Nel prossimo futuro, saranno noti i risultati di altri studi randomizzati, con altri immune checkpoint inhibitors, che andranno probabilmente a rendere ancora più complesso lo scenario terapeutico (basti pensare ai risultati, pubblicati contemporaneamente sul NEJM, ottenuti con la combinazione di nivolumab e ipilimumab nei casi selezionati per elevato “tumor mutation burden”). Ci saranno varie novità regolatorie, e ci sarà molto materiale per discutere le implicazioni di tali risultati per la pratica clinica.