Miscellanea
Giovedì, 23 Marzo 2017

Pazienti tra le braccia di Morfeo? La risposta delle infermiere

A cura di Giuseppe Aprile

Uno studio americano indaga i disturbi del sonno in oltre 1300 pazienti ambulatoriali che ricevono trattamenti antiblastici. Su quali fattori possiamo agire per migliorare la qualità del riposo notturno? Ce lo spiega la ricerca infermieristica.

Mark S, et al. Modifiable and non-modifiable characteristics associated with sleep disturbance in oncology outpatients during chemotherapy. Supp Care Cancer 2017, epub March 9th.

Evidenze di letteratura stimano la prevalenza dei disturbi del sonno da 2 a 3 volte superiore nella popolazione oncologica rispetto a quella generale, senza differenze sostanziali per classi di età (Bischel LE, et al. Eur J Oncol Nurs 2016). Inoltre, è noto pazienti con problematiche del sonno abbiano un'aumentata incidenza di fatigue, sindrome depressiva o altri disturbi dell'umore, sintomatologia vasomotoria e un peggioramento della qualità di vita, tanto che la ONS (Oncology Nursing Society) individua i disturbi del sonno come una area prioritaria di ricerca.

Obiettivo dello studio era individuare le possibili differenze individuali tra la tipologia e la severità del disturbo del sonno, determinare quali caratteristiche fossero associate con l'iniziale livello del disturbo e valutare quali fattori influenzassero negativamente l'evoluzione del problema nel corso del trattamento antiblastico.

Sono stati utilizzati questionari validati (General Sleep Disturbance Scale - che misura con 21 items la qualità del sonno nella settimana precedente e ha un punteggio variabile tra 0 e 147 -, Lee Fatigue Scale, Attentional Functtion Index e scale specifiche per la misurazione di ansia e depressione) somministrati a sei timepoint prestabiliti durante i primi due mesi del trattamento antiblastico. I risultati dei questionari permettevano di sviluppare un modello gerarchico lineare basato sulla stima delle massime probabilità (maximum lieklihood estimation).

I pazienti avevano neoplasia mammaria, gastrointestinale, polmonare o ginecologica ed avevano ricevuto un trattamento antiblastico sistemico nelle 4 settimane antecedenti.

Lo studio ha incluso nel complesso 1331 pazienti, che hanno completato il questionario a casa propria (potenziale bias?)

L'età mediana dei pazienti inclusi era di circa 57 anni e nella grande maggioranza erano donne (80%) con un reddito medio alto (61% guadagnavano almeno 70.000 USD per anno).

I pazienti con malattia avanzata erano la maggior parte (67%). Nel 75% dei casi i pazienti avevano già ricevuto un trattamento antiblastico precedente, con una media di precedenti linee pari a 1.6; in quasi la totalità dei casi i cicli di chemioterapia avevano una cadenza bisettimanale (42%) o trisettimanale (51%).

Le analisi dello studio hanno dimostrato che i fattori associati ad un livello maggiore di disturbi del sonno al basale erano: BMI elevato, PS scaduto (inferiore a 70), maggior livello di ansia o depressione e maggiore intensità di affaticamento serale.

Invece, le caratteristiche che predicevano un peggioramento del quadro durante il prosieguo del trattamento antiblastico erano la presenza di un più alto grado di disturbi del sonno misurato al basale ed un livello di istruzione più elevato.

Un alto livello di fatigue al mattino e una peggior performance nel test di attenzione funzionale erano correlati ad entrambe le situazioni.

Lo studio offre un messaggio semplice, ma chiaro, derivato da una ricerca infermieristica di qualità: alcuni fattori che condizionano i disturbi del sonno nel paziente oncologico in trattamento sono modificabili e su questi possiamo agire con un provvedimento specifico.

Obesità (correlata anche ad un maggior consumo di alcolici, all'insonnia e alla sindrome da gambe senza riposo), fatigue, depressione lieve e deficit di attenzione possono essere corretti con interventi comportamentali o farmacologici al fine di migliorare la qualità del sonno nei pazienti oncologici.

Vanno tuttavia riconosciuti i limiti dello studio, che ha incluso una coorte non consecutiva di pazienti in prevalenza di sesso femminile e in tempi differenti rispetto all'inizio del trattamento senza poter misurare in modo oggettivo l'entità del disturbo.