Miscellanea
Sabato, 27 Maggio 2017

Gli effetti anti-tumorali che non ti aspetti... Ma occhio ai bias!

A cura di Massimo Di Maio

Diversi studi hanno suggerito una possibile attività antitumorale dei beta-bloccanti, assunti da molti pazienti per patologie concomitanti. E se bloccare gli effetti dello stress sulle cellule tumorali aiutasse davvero a controllarne la crescita?

G. Spera, R. Fresco, H. Fung, J. R. B. Dyck, E. Pituskin, I. Paterson, J. R. Mackey; Beta Blockers and Improved Progression Free Survival in Patients with Advanced HER2 Negative Breast Cancer: a Retrospective Analysis of the ROSE/TRIO-012 Study. Ann Oncol 2017 mdx264. doi: 10.1093/annonc/mdx264

Alcuni studi retrospettivi, accompagnati da alcune evidenze precliniche, hanno suggerito l’associazione tra l’assunzione di beta-bloccanti e un migliore outcome di pazienti con vari tipi di neoplasia. Si ipotizza che lo stress, associato alla produzione di adrenalina e noradrenalina, possa avere un effetto favorente la crescita delle cellule tumorali.

A scopo esplorativo, gli autori della pubblicazione su Annals of Oncology hanno analizzato I dati delle pazienti inserite nello studio ROSE-TRIO-012, uno studio randomizzato, in doppio cieco, che valutava l’efficacia dell’aggiunta di ramucirumab (vs. placebo) in pazienti con tumore della mammella avanzato HER2-negativo candidate a trattamento di prima linea con docetaxel.

L’analisi ha diviso le pazienti in 2 gruppi: chi assumeva (già da prima o anche soltanto dopo l’inserimento nello studio) beta-bloccanti e chi non li assumeva. E’ importante sottolineare (per discutere I limiti metodologici dell’analisi) che il gruppo di chi assumeva beta-bloccanti comprendeva quindi sia chi li assumesse già al momento dell’inserimento nello studio, sia chi iniziasse l’assunzione subito dopo, sia chi iniziasse l’assunzione in un qualunque momento durante la conduzione dello studio.
L’outcome dei gruppi è stato confrontato in termini di sopravvivenza libera da progressione, sopravvivenza globale, risposta obiettiva, disease control rate.

Complessivamente, 153 pazienti su un totale di 1144 (pari al 13%) hanno ricevuto beta-bloccanti. Di queste, il 62% lo aveva ricevuto prima dell’inserimento nello studio, e il 38% aveva invece iniziato l’assunzione dopo l’inserimento nello studio.

La sopravvivenza libera da progressione è risultata significativamente più lunga nel gruppo di pazienti che avevano ricevuto beta-bloccanti (PFS mediana pari a 10.3 mesi vs. 8.3 mesi, Hazard Ratio 0.81, intervallo di confidenza al 95% 0.66 – 0.99, p=0.038).

Considerando le sole pazienti che avevano ricevuto beta-bloccanti dopo l’inizio dello studio, la sopravvivenza libera da progressione risultava anche in questo sottogruppo significativamente più lunga nel gruppo che aveva ricevuto beta-bloccanti (PFS mediana pari a 15.5 mesi vs. 8.3 mesi, p < 0.001).

Nel sottogruppo di pazienti con tumore “triple negative”, la PFS mediana è risultata pari a 13 mesi nel gruppo che assumeva beta-bloccanti, rispetto a 5.2 mesi nel gruppo che non li assumeva (Hazard Ratio 0.52; intervallo di confidenza al 95% 0.34 - 0.79; p = 0.002).

La differenza in PFS tra i gruppi è risultata indipendente dall’incidenza di ipertensione associata al trattamento.

Non sono state osservate differenze significative tra i gruppi in termini di risposta obiettiva o in termini di sopravvivenza globale.

In questa analisi esploratoria, l’assunzione di beta-bloccanti è risultata associata a una prognosi significativamente migliore in termini di sopravvivenza libera da progressione, con un vantaggio particolarmente evidente nelle donne con tumore triplo negativo, e nei soggetti che non erano stati esposti ai beta-bloccanti prima dell’inizio dello studio.

Va detto che un crescente “filone” di letteratura suggerisce il possibile ruolo antitumorale di alcune categorie di farmaci sviluppati per altre indicazioni. Tra questi, i beta-bloccanti sono stati oggetto di diversi studi retrospettivi, che hanno in vari casi suggerito un’associazione tra assunzione di tale categoria di farmaci e miglior andamento della malattia oncologica.

I limiti di questo tipo di studi sono, naturalmente, molteplici. Innanzitutto, questo tipo di risultati è soggetto ad un inevitabile bias di pubblicazione: non è difficile, infatti, immaginare che un risultato positivo di un’analisi di questo tipo (come i dati pubblicati su Annals of Oncology) abbia più chances di essere pubblicato rispetto a un dato completamente negativo, che potrebbe inevitabilmente riscontrare meno interesse da parte dei revisori e degli editor delle riviste.

Un altro rischio metodologico, in questo tipo di analisi, è il bias legato alla durata dell’osservazione (cosiddetto “immortal time bias”). Includendo nell’analisi anche le pazienti che hanno iniziato l’assunzione di beta-bloccanti dopo l’inizio dello studio, è ovvio che quanto più lunga è l’osservazione, più alte sono le chance di essere stati esposti a beta-bloccanti (come a qualunque tipo di altro farmaco). Quindi, mediamente, il confronto tra gruppi in termini di sopravvivenza libera da progressione è viziato “a favore” del gruppo che ha ricevuto beta-bloccanti. Per evitare questo tipo di bias, sarebbe necessario escludere dall’analisi le pazienti che hanno iniziato l’assunzione dopo l’inizio dello studio, o adottare alcuni tipi di analisi (es. landmark) che correggono almeno in parte il bias. Non a caso, nella metanalisi di Weberpals, che gli autori citano nella discussione a sostegno delle evidenze sul ruolo antitumorale dei beta-bloccanti, l’associazione tra assunzione e outcome non era più significativa escludendo gli studi soggetti all’“immortal time bias”.

Inoltre, la qualità dell’evidenza prodotta da questo tipo di analisi retrospettive è chiaramente molto debole e molto più bassa rispetto ad una dimostrazione prospettica di associazione tra l’assunzione del farmaco e l’outcome.

Peraltro, questa tipologia di studi può rappresentare, per la plausibilità del razionale biologico, un’interessante premessa per condurre studi prospettici. In tale ottica (e probabilmente solo in questa) va apprezzata la pubblicazione su una rivista diffusa come Annals of Oncology.