Miscellanea
Mercoledì, 09 Aprile 2014

Il vemurafenib è una conferma nel trattamento del melanoma avanzato con mutazione di BRAF

A cura di Fabio Puglisi

L'aggiornamento dello studio BRIM-3 conferma il beneficio in sopravvivenza con l'impiego di vemurafenib nel trattamento del melanoma con mutazione di BRAF (BRAFV600E e BRAFV600K).

McArthur GA, et al. Safety and efficacy of vemurafenib in BRAF(V600E) and BRAF(V600K) mutation-positive melanoma (BRIM-3): extended follow-up of a phase 3, randomised, open-label study. Lancet Oncol 2014;15:323-32.

L'armamentario terapeutico nel melanoma avanzato si è arricchito negli ultimi anni grazie all'introduzione di ipilimumab (anticorpo anti-CTLA-4), vemurafenib e dabrafenib (inibitori di BRAF) e trametinib (inibitore di MEK). In particolare, l'inibizione di BRAF ha un razionale molto forte. Infatti, alla mutazione del gene segue un'attivazione costitutiva della via di segnale RAS-RAF-MEK-ERK MAPK, principale driver della proliferazione tumorale.
Nel 2011, lo studio BRIM-3 ha dimostrato il vantaggio di vemurafenib rispetto alla dacarbazina (HR 0.37 nel rischio di morte, 95% IC 0.26-0.55) in pazienti con melanoma BRAF mutato (Chapman PB, et al. N Engl J Med 2011; 364:2507-16).
Il disegno dello studio prevedeva la randomizzazione a vemurafenib 960 mg per os due volte die o a dacarbazina 1000 mg/m2 e.v. q21. Co-primary endopoints: overall survival e progression-free survival.
A circa tre anni dalla precedente pubblicazione, gli Autori riportano i risultati con un follow-up mediano di 12,5 mesi per il braccio con vemurafenib e di 9.5 mesi per il braccio con dacabarzina.

Lo studio ha concluso l'accrual in meno di un anno (gennaio-dicembre 2010), arruolando 675 pazienti di cui 337 randomizzati a ricevere vemurafenib e 338 dacarbazina. Fra questi ultimi, 83 (25%) hanno effettuato il crossover da dacarbazina a vemurafenib. L'overall survival mediana è risultata significativamente più lunga con l'impiego di vemurafenib group (13.6 vs 9.7 mesi; HR 0.70, 95% IC 0.57-0.87, p=0.0008). Parimenti, il vemurafenib è risultato superiore alla dacarbazina in termini di progression-free survival (6.9 vs 1.6 mesi; HR 0.38, 95% IC 0.32-0.46, p<0·0001). Fra i 598 (91%) casi con mutazione BRAFV600E, la sopravvivenza mediana è stata di 13.3 e di 10 mesi, rispettivamente per il braccio vemurafenib e per il braccio dacarbazina (HR 0.75, 95% IC 0.60-0.93; p=0.0085). Nei 57 (9%) casi con mutazione BRAFV600K, la sopravvivenza mediana risultata di 14.5 mesi fra i pazienti trattati con vemurafenib e di 7.6 mesi fra i pazienti trattati con dacarbazina (HR 0.43, 95% IC 0.21-0.90, p=0.024). Fra le tossicità di grado 3-4 più frequenti legate al vemurafenib, i carcinomi squamosi cutanei (19%), i cheratoacantomi (10%), il rash (9%) e l'alterazione dei test di funzionalità epatica (11%). La neutropenia (9%) è stata la principale reazione avversa di grado 3-4 osservata nel braccio con dacarbazina.

Lo studio conferma il beneficio terapeutico del vemurafenib in pazienti con melanoma BRAF mutato. Il vantaggio dell'inibitore di BRAF rispetto alla chemioterapia con dacarbazina è stato osservato sia in termini di overall survival che di progression-free survival.
Inoltre, l'efficacia del vemurafenib è stata dimostrata sia in presenza della mutazione più frequente (BRAFV600E) che della meno comune (BRAFV600K).