Miscellanea
Sabato, 08 Luglio 2017

Chemioterapia di induzione nei tumori del distretto cervico-facciale: tre lettere efficaci?

A cura di Giuseppe Aprile

Lo studio si propone di verificare l’impatto del trattamento di induzione prima del trattamento standard in pazienti con neoplasia head and neck localmente avanzata. TPF (lo schema) e GHI (l’autore). Tre lettere basteranno?

Ghi MG, et al. Induction TPF followed by concomitant treatment versus concomitant treatment alone 
in locally advanced Head and Neck Cancer.
 A phase II-III trial. Ann Oncol 2017, epub ahead of print.

Le neoplasie del distretto cervicofacciale con istotipo squamoso rappresentano il 5% delle nuove diagnosi di tumore maligno e includono un gruppo di neoplasie con insorgenza in difefrenti sedi anatomiche (lingua, bocca, orofaringe, rinofaringe, ipofaringe, faringe NAS, laringe) accomunate dalla condivisione di alcuni fattori di rischio oncologico (fumo e alcool, specifiche infezioni virali). Queste neoplasie – secondo il libro bianco dell’oncologia italiana 2016 – hanno un’incidenza annua di oltre 9.000 nuovi casi e causano poco meno di 3.000 decessi.

Nel caso di malattia localmente avanzata lo standard di trattamento prevede una combinazione di chemioradioterapia con platino (una alternativa possibile è la combinazione di radioterapia e cetuximab, emersa peraltro mentre il trial in oggetto era in corso), ma sono in corso di studio nuovi trattamenti.

Sebbene la chemioterapia di induzione abbia un documntato ruolo nell’incrementare la preservazione d’organo e ridurre le metastasi a distanza, non è noto il potenziale impatto sulla sopravvivenza overall.

Lo studio si propone due obiettivi: 1) verificare se il trattamento di induzione con tra cicli di TPF impatti sulla sopravvivenza prima della chemioradioterapia 2) la tossicità mucosale del trattamento in pazienti che ricevono chemioradioterapia ovvero combinazione ci radioterapia e cetuximab.

I pazienti, discussi al meeting multidisciplinare e non candidati a chirurgia, avevano PS 0-1: dopo la randomizzazione a terapia di induzione o meno (random 1:1 in open), i pazienti potevano andare ad una seconda randomizzazione (chemioRT vs cetuximab e radioterapia) ed erano stratificati per T (T1-2 vs T3-4), N (N0-1 vs N2-3) e sito anatomico di insorgenza della neoplasia primitiva.

Era prevista la revisione dei dati da un IDMC e una standardizzazione del trattamento radiante nei 48 centri partecipanti, in accordo alle linee guida nazionali: lo studio prevedeva la possibilità di frazionamento standard (2 Gy/day, 5 days/week) o 70 Gray al tumore primitive con ≥60 Gy al collo, in dipendenza dell’eventuale indicazione a dissezione linfonodale. Era anche possibile la radioterapia conformazionale 3D o IMRT.

Lo studio ha incluso 414 pazienti, 206 dei quali randomizzati al braccio con chemioterapia di induzione.

Dopo un follow-up mediano di 45 mesi, la sopravvivenza overall era significativamente più lunga nel braccio sperimentale (OS mediana 54.7 mesi vs 31.7 mesi, numero di decessi 97 vs 107, HR 0.74, 95%CI 0.56-0.97, p=0.031).

In modo coerente (quindi era molto convincente la consistenza interna del trial), vi era anche un vantaggio di oltre il 10% assoluto in sopravvivenza a 3 anni (57.5% vs 46.5%), in PFS (HR 0.72, 95%CI 0.56-0.93, p=0.013), in tasso di risposte complete (p=0.003) e nel controllo locoregionale della malattia.

Come atteso, il trattamento con chemioterapia di induzione causava tossicità midollare e infettiva (neutropenia febbrile nell’11% dei pazienti), ma non precludeva la compliance al successivo trattamento di combinazione, né si registrava un differente numero di morti precoci nei due bracci dello studio (5 vs 7).

Lo studio ha chiaramente dimostrato l’efficacia del trattamento di induzione – che configura una possibile nuova opzione da considerare almeno nei pazienti a peggiore prognosi – e avrebbe probabilmente meritato di essere pubblicato su una rivista di ancor maggiore impatto sulla comunità scientifica internazionale.

L’effetto del trattamento di induzione – spiegabile considerando che la combinazione TPF è efficace sia nel controllo di malattia locale che a distanza – potrebbe essere più ampio nella popolazione poi trattata con cetuximab e radioterapia vs quella trattata con chemioRT (sebbene il test di interazione abbia p=0.08); si attendono i risultati degli studi che stabiliranno se sia di maggiore vantaggio associare alla radioterapia un trattamento antiblastico platinum-based ovvero l’EGFR-inibitore.

Un plauso va al gruppo di ricerca clinica italiana capitanato da Maria Grazia Ghi - una volta ancora esempio di come la cooperazione permetta il raggiungere obiettivi ambiziosi - e all'amico Ciro Rossetto, coautore del lavoro.