Miscellanea
Sabato, 22 Luglio 2017

Affrontare la chemioterapia insieme: l’interazione sociale può influenzare la prognosi?

A cura di Massimo Di Maio

Uno studio inglese ha prodotto risultati provocatori, documentando un’aspettativa di vita migliore per chi condivideva i momenti della terapia con altri pazienti a prognosi migliore. Impatto positivo sulla risposta allo stress?

Jeffrey Lienert, Christopher Steven Marcum, John Finney, Felix Reed-Tsochas, Laura Koehly. Social influence on 5-year survival in a longitudinal chemotherapy ward co-presence network. Network Science, 2017; 1 DOI: 10.1017/nws.2017.16

 

L’interazione sociale durante la somministrazione della chemioterapia potrebbe avere (almeno in parte) un impatto significativo sull’andamento della malattia e sull’aspettativa di vita dei pazienti oncologici. Quest’affermazione è sicuramente “provocatoria”, ma è il messaggio principale di un interessante lavoro recentemente pubblicato su Network Science, e ripreso da alcuni siti di informazione scientifica.

Lo studio è stato condotto da Jeffrey Lienert e altri ricercatori del National Human Genome Research Institute (NHGRI), parte del National Institutes of Health, e dall’Università di Oxford, nel Regno Unito.

Endpoint dello studio era la probabilità di sopravvivenza a 5 anni dall’inizio della chemioterapia.

La variabile in studio, basata sulla costruzione di un complesso modello matematico, era l’interazione, durante la chemioterapia, con altri pazienti che fossero poi vivi a 5 anni, oppure no.

Lo studio è stato basato sulle cartelle cliniche di pazienti sottoposti a chemioterapia dal 2000 al 2009 presso due importanti ospedali del Regno Unito. Il sistema elettronico di accesso dei pazienti consentiva di ricostruire, per ciascuno di essi, l’orario di accesso e di uscita dalle stanze nelle quali viene somministrata la chemioterapia e la posizione occupata nelle stanze di terapia, ricostruendo quindi l’intervallo di tempo trascorso condividendo la stanza con ciascun altro paziente. Il tempo trascorso ricevendo la chemioterapia in una stanza di terapia in compagnia di altre persone è stato impiegato dagli autori come “proxy” della “connessione sociale” di ciascun paziente.

L’analisi ha tenuto conto di varie covariate, inclusa l’età del paziente, il sesso, il tipo di malattia, lo stadio di malattia, il medico che aveva in cura il paziente.

Lo studio è stato condotto su 4691 pazienti, con età mediana pari a 60 anni; il 44% dei soggetti era di sesso maschile.
 
Il 24% dei pazienti inseriti nello studio aveva un tumore della mammella, il 9% un tumore del polmone, ed erano rappresentati tutti i principali tumori solidi.
 
Lo studio ha documentato che la probabilità di sopravvivenza a 5 anni è maggiore per i pazienti che abbiano condiviso parte significativa del loro tempo in ospedale, durante la somministrazione della chemioterapia, con altri pazienti che siano poi sopravvissuti per almeno 5 anni.
 
La probabilità di decesso entro i 5 anni è risultata pari al 72% per i pazienti che avevano passato il tempo della chemioterapia con soggetti poi deceduti prima dei 5 anni, pari al 68% per coloro che avevano interagito con soggetti vivi a 5 anni, e pari al 69.5% per i soggetti che avevano ricevuto la chemioterapia “isolati” rispetto agli altri pazienti.

Jeff Lienert, primo autore del lavoro, sottolinea che vari aspetti del comportamento delle persone sono “modellati” da quello che hanno intorno: Lienert fa l’esempio del miglioramento di una prestazione sportiva quando avviene in compagnia di altre persone, oppure della quantità di cibo che si mangia mediamente a tavola, quando si è in compagnia di altri commensali che mangiano, rispetto a quando si mangi da soli. Lo stesso autore sottolinea che "una differenza di due punti percentuali può sembrare piccola, ma su grandi numeri rappresenta una differenza potenzialmente importante.”

Il risultato dello studio è sicuramente intrigante, anche se gli autori non forniscono una spiegazione convincente del risultato.

Un’ipotesi è che la differenza nell’outcome possa essere collegata alla risposta allo stress. In situazioni stressanti, come può essere la somministrazione della chemioterapia, avviene il rilascio di adrenalina e altri ormoni. L’interazione sociale durante quei momenti può modulare tali reazioni ormonali, con conseguenze non note sulla biologia del tumore e sulla risposta ai trattamenti.

Gli autori non hanno studiato nel dettaglio altre variabili potenzialmente importanti, quali ad esempio l’impatto del tempo trascorso con familiari e/o altri accompagnatori. Peraltro, la variabile misurata nello studio era la semplice presenza contemporanea nelle stanze, senza misurare e/o descrivere dal punto di vista qualitativo la reale interazione sociale creatasi tra i pazienti, né misurando il loro grado di soddisfazione su tale interazione.

In sintesi, un risultato affascinante e provocatorio: molti dubbi rimangono sulla plausibilità biologica del risultato, ma senza dubbio l'articolo richiama l'attenzione all'importanza del "contesto ambientale" nel quale i pazienti ricevono il trattamento chemioterapico. Non conosciamo l'impatto reale sulla prognosi, ma sicuramente tutto ciò che migliora l'umore e il benessere dei pazienti durante i passaggi in day hospital non può che avere positive ripercussioni sulla qualità di vita.