Miscellanea
Venerdì, 23 Febbraio 2018

Melanoma BRAF mutato: quale spazio per vemurafenib dopo l'asportazione chirurgica?

A cura di Giuseppe Aprile

Lo studio BRIM8 testa il beneficio del solo vemurafenib nel trattamento adiuvante del melanoma resecato in stadio IIC-III con mutazione V600 del gene BRAF. Il solo inibitore di BRAF sarà sufficiente a ridurre il rischio di recidiva?

Maio M, et al. Adjuvant vemurafenib in resected, BRAFV600 mutation-positive melanoma (BRIM8): a randomised, double-blind, placebo-controlled, multicentre, phase 3 trial. Lancet Oncol 2018; Epub ahead of print Feb 21st

Per quasi due decenni, le proposte terapeutiche dopo la resezione di un melanoma cutaneo con elevato rischio di recidiva sono state interferone (questionando sulla dose o sulla forma peghilata) ovvero la sola osservazione. Il quadro si è decisamente modificato nel corso degli ultimi 3 anni, quando sono stati pubblicati dati che hanno portato alla ribalta nuove opzioni terapeutiche.

Nel 2015 lo studio randomizzato EORTC 18071 ha sancito la superiorità di ipilimumab verso placebo nel melanoma resecato in stadio III.

Nel 2017 lo studio CheckMate 238, un trial randomizzato di fase III in doppio cieco, ha dimostrato la superiorità di nivolumab (3 mg/Kg ogni 2 settimane) vs ipilimumab (10 mg/Kg ogni 3 settimane per 4 dosi, poi ogni 3 mesi) in pazienti radicalmente operatio per melanoma ad alta possibilità di ricaduta e nello stesso anno lo studio COMBI AD, un trial randomizzato di fase III che ha arruolato quasi 900 pazienti resecati per melanoma in stadio III e mutazione di BRAF ha dimostrato la maggiore efficacia di dabrafenib  combinato a trametinib vs il solo dabrafenib.

Lo studio BRIM8, disegnato nel 2011, è un trial di fase 3 randomizzato che confronta vemurafenib (960 mg bid) vs placebo in 500 pazienti con melanoma resecato BRAF mutato e alto rischio di recidiva. Il disegno dello studio prevedeva due coorti; nella coorte 1 erano arruolati pazienti con melanoma in stadio IIC-IIA-IIIB; nella coorte 2 pazienti con melanoma IIIC. l'endpoint primario dello studio era la DFS in entrambe le coorti; tuttavia, poichè la coorte 2 aveva a priori un maggior rischio di recidiva, era prevista una hierarchical analisys della coorte 2 prima della coorte 1.

Lo studio ha arruolato 184 pazienti nella coorte 2 (93 assegnati al braccio con BRAF inibitore; 91 al placebo) e 314 nella coorte 1 (157 pazienti per braccio). I dati sono stati pubblicati dopo un follow-ip mediano superiore ai 30 mesi in entrambe le coorti.

Nella coorte 2 la differenza in termini di DFS non è risultata significativa sebbene si sia registrata una netta estensione del tempo libero da malattia: DFS mediana 23.1 mesi per i pazienti randomizzati a vemurafenib vs 15.4 per quelli randomizzati a placebo (HR 0.80, 95%CI 0.54-1.18, p=0.026). Infatti, l'aver specificato il prerequisito della superiorità del braccio sperimentale nella coorte 2 nel livello gerarchico, impedisce di accettare come significativo il vantaggio riportato nella coorte 1 (HR per DFS 0.54, 95%CI 0.37-0.78), che deve essere considerato esploratorio.

Si deve anche sottolineare che le curve di RFS nella coorte 2 tendevano a convergere nel secondo anno, suggerendo una durata maggiore della terapia avrebbe potuto essere di beneficio per pazienti a maggior rischio di recidiva.

Come atteso, gli effetti collaterali più frequentemente riportati nei pazienti trattati con BRAF inibitore sono stati la genesi di cheratoacantomi (10%), artralgia (7%), sviluppo di tumori squamosi cutanei (7%), rash (6%) e incremento delle transaminasi (6%).

Sebbene il trial recentemente pubblicato sia formalmente negativo (il BRIM8 non ha raggiunto il suo endpoint primario nella coorte 2) offre alcuni spunti di riflessione. 

Notiamo come al momento del disegno dello studio sia stato scelto come braccio di controllo il solo placebo nonostante la terapia con interferone per 12 mesi fosse usata (ma non universalmente riconosciuta come uno standard); per analoghi motivi la durata della terapia adiuvante con vemurafenib è stata fissata in 1 anno.

Lo studio conferma l'attività biologica del BRAF inibitore in pazienti resecati per melanoma con opportuna selezione molecolare; confermato anche il profilo di tossicità del trattamento in accordo a quanto noto dal BRIM3 e dall'esperienza di uso del vemurafenib in open-label nel setting metastatico in clinica (Blank CU, et al. Eur J Cancer 2017). Inoltre, i dati suggeriscono che dose e intensità della terapia adiuvante possano essere differenziate in base al rischio di recidiva e rende possibile l'ipotesi di un vantaggio anche in pazienti con stadio IIC.

E' stata dimostrata una correlazione tra RFS e OS per pazienti con melanoma resecato in stadio II e III (RFS è un valido endpoint surogato di OS): un vantaggio in RFS con HR inferiore a 0.75 è probabile impatti sulla sopravvivenza overall (Suciu S, et al. JNCI 2018). Nonostante ciò, la questione riguardo al beneficio in sopravvivenza data dai moderni trattamenti sistemici dopo la resezione chirurgica di un melanoma in stadio III rimane aperta.