Miscellanea
Martedì, 13 Novembre 2018

Biosimilari e real-world

A cura di Fabio Puglisi

I biosimilari affrontano le prime verifiche su casistiche di real-world. In questo caso, il confronto con il brand tocca al filgrastim biosimilare, il primo arrivato. 

Chen X, et al. Early Adoption of Biosimilar Growth Factors in Supportive Cancer Care. JAMA Oncol 2018 [Epub ahead of print]

Nel 2010, la Food and Drug Administration americana ha definito un percorso di approvazione per i biosimilari, agenti biologici con componente attiva altamente simile ai corrispettivi farmaci originatori (brand).
Obiettivi: favorire la competizione e abbassare i costi.
Pochi studi hanno indagato il profilo di sicurezza e di efficacia dei biosimilari nella real-world.

I fattori di crescita per i globuli bianchi (colony-stimulating growth factors: CSF) filgrastim-sndz e tbo-filgrastim, primi biosimilari ad essere approvati negli Stati Uniti, sono impiegati per ridurre il rischio di neutropenia chemio-indotta.
Uno studio ha valutato l’incidenza di neutropenia febbrile, di eventi avversi CSF-correlati e il costo del farmaco fra pazienti americani (assicurati) trattati con chemioterapia.

Disegno dello studio: analisi retrospettiva osservazionale basata sulle richieste di tipo sanitario rilevate in pazienti con polizza assicurativa sottoposti a trattamento chemioterapico per patologia tumorale e che avevano ricevuto supporto con filgrastim o con filgrastim biosimilare da settembre 2012 ad aprile 2017.

Osservazione: 21 giorni dall’impiego del farmaco (originatore o biosimilare) per valutare i costi (totale e per giorno di utilizzo) e l’incidenza di neutropenia febbrile e di effetti collaterali (es. rottura di milza, sindrome respiratoria acuta, reazioni allergiche gravi). Due algoritmi validati, basati sulle richieste di indennizzo (neutropenia e/o febbre che abbiano richiesto ospedalizzazioni), sono stati impiegati per censire l’incidenza di neutropenia febbrile.

Per valutare l’associazione con le variabili di interesse (outcome) è stato utilizzato un modello di regressione multivariata aggiustato per i diversi fattori di rischio rilevati al basale.

Su un totale di 11202 pazienti inclusi nello studio, 1531 (13.7%) hanno usato un CSF biosimilare.

Popolazione: età mediana 61 anni, 6927 donne (61.8%), 5782 pazienti (51.6%) con almeno una co-morbidità non oncologica. Non sono state rilevate differenze significative tra i due gruppi di trattamento in termini di caratteristiche al basale.

L’uso del filgrastim biosimilare ha riguardato il 7% degli utilizzatori di filgrastim nel 2014 (171 su 2580), il 16% nel 2015 (384 su 2420), fino a raggiungere il 36% nel 2016 (778 su 2180).

L’incidenza di neutropenia febbrile utilizzando criteri di definizione stretti (neutropenia e febbre) o larghi (neutropenia o febbre) è risultata simile tra i due gruppi:

  • Neutropenia o febbre: 11.3% vs 9.4% (biosimilare vs. brand), p =0.12
  • Neutropenia e febbre: 4.5% vs. 3.9% (biosimilare vs. brand), p =0.39
  • Nessuna differenza è stata osservata in termini di tossicità: 6.9% vs. 6.4%, p = 0.72.
  • Costo medio per paziente: $2522 vs. $2516, p = 0.27
  • Costo per giorno di utilizzo: 2.3% in meno con il biosimilare ($731 vs. $748; p = 0.02).

Dopo verifica sul terreno del real-world, il filgrastim biosimilare conferma di essere simile all’originatore sia in termini di sicurezza che di efficacia.

I risparmi associati all’uso del filgrastim biosimilare sono stati modesti, verosimilmente a causa della lenta introduzione in clinica e del prezzo che si è mantenuto vicino a quello del farmaco originatore.

Tuttavia, il mercato dei biosimilari appare essere in crescita, con una sempre maggiore accettazione di tali agenti nella pratica clinica.

La crescente adozione di agenti biosimilari richiederà attente verifiche delle misure di outcome clinico da affiancare a valutazioni di tipo economico.
A tal scopo, gli studi di real-world possono rappresentare un valido strumento di rilevazione.