Patologia genito-urinaria
Martedì, 15 Luglio 2014

Terapia antiangiogenica e carcinoma ovarico: oltre il pathway del VEGF

A cura di Fabio Puglisi

Un nuovo studio di fase III analizza il ruolo di trebananib in pazienti con recidiva di carcinoma ovarico ed intervallo libero da platino inferiore ai 12 mesi. Meccanismo d'azione peculiare quello del trebananib che, a differenza degli altri agenti antiangiogenici, non interferisce con il pathway del VEGF.

Monk BJ, et al. Anti-angiopoietin therapy with trebananib for recurrent ovarian cancer (TRINOVA-1): a randomised, multicentre, double-blind, placebo-controlled phase 3 trial. Lancet Oncol 2014;15:799-808.

Il ruolo della terapia antiangiogenica nel trattamento del carcinoma ovarico è stato esaminato in diversi studi di fase III.
In prima linea, il beneficio in PFS è risultato modesto, con l'eccezione dello studio AGO-OVAR16 (pazobanib vs placebo come mantenimento dopo chirurgia e chemioterapia) in cui il vantaggio di 5-6 mesi è stato ottenuto a spese di una tossicità non trascurabile. Ad oggi, l'unico studio che ha riportato un significativo vantaggio in overall survival è l'ICON6, in cui pazienti con carcinoma ovarico recidivato, platino sensibile, hanno ricevuto cediranib in concomitanza alla chemioterapia e come mantenimento.

Studio randomizzato di fase III in doppio cieco, il TRINOVA-1 è stato condotto su pazienti con carcinoma ovarico recidivato, precedentemente trattate con 3 o meno regimi chemioterapici. Fra i criteri di eleggibilità, un intervallo libero da platino di meno di un anno.

La randomizzazione 1:1 prevedeva l'assegnazione a paclitaxel 80 mg/m2/settimana associato a placebo o trebananib (15 mg/kg/settimana e.v.). Il trebananib è un nuovo agente antiangiogenico che, legandosi alle angiopoetine 1 e 2, ne impedisce il legame con il recettore Tie2.

Primary endpoint: la progression-free survival valutata nella popolazione intention-to-treat.

Lo studio ha arruolato 919 pazienti, 461 assegnate al braccio trebananib e 458 al braccio placebo. La progression-free survival mediana è risultata significativamente più lunga con l'impiego del trebananib (7.2  vs 5·4 mesi, hazard ratio 0.66, 95% CI 0.57-0.77, p<0·0001). In termini di tossicità, è stata osservata  una maggiore incidenza di edema di qualsiasi grado (trebananib vs placebo: 64% vs 28%). Non sono emersi effetti collaterali di rilievo. 

Il farmaco antiangiogenico trebananib ha dimostrato una superiorità rispetto al placebo in termini di PFS nel trattamento del carcinoma ovarico recidivato entro 12 mesi da un precedente trattamento a base di platino. Sebbene il beneficio sia apparentemente modesto in termini assoluti (1.8 mesi), il risultato non è irrilevante se si considera il setting in cui è stato ottenuto. Altrettanto importante è la considerazione legata al diverso meccanismo d'azione del trebananib che si traduce in buon profilo di tossicità senza sovrapposizione con gli inibitori del pathway di VEGF. Pertanto, il trattamento con trebananib e paclitaxel settimanale potrebbe essere utile in pazienti che non possono ricevere agenti anti-VEGF per controindicazioni o per tossicità sperimentata.

Il vantaggio di quasi due mesi in PFS è simile a quello osservato nello studio ICON7 con carboplatino/paclitaxel con o senza bevacizumab concomitante poi mantenuto per 12 mesi. L'ICON7 è stato condotto in prima linea, setting in cui la PFS è generalmente più lunga rispetto a quella osservata in pazienti con recidiva di malattia. Tali considerazioni accrescono il peso relativo del vantaggio in PFS osservato con il trebananib nel TRINOVA-1.

Nello studio AURELIA, l'aggiunta del bevacizumab ad un chemioterapico (paclitaxel settimanale, doxorubicina liposomiale o topotecan) per il trattamento di pazienti con carcinoma ovarico recidivato platino-resistente aveva prodotto un significativo incremento in PFS (6.7 vs 3.4 mesi, HR 0.48, 95% IC 0.38–0.60; p<0.001). Tuttavia, lo studio AURELIA non era placebo-controlled e consentiva il crossover a bevacizumab dopo la progressione.