Patologia genito-urinaria
Mercoledì, 17 Settembre 2014

Terapia di mantenimento nel carcinoma ovarico: una questione di prezzo, di costo o di valore?

A cura di Giuseppe Aprile

Dopo il trattamento di induzione, vorremmo disporre di una molecola economica, sicura, ed efficace nel prolungare il controllo sulla malattia. Un recente trial di fase 3 studia l'efficacia del mantenimento con pazopanib in 940 pazienti con carcinoma ovarico. Ma incrementare la sopravvivenza libera da progressione senza impattare sulla overall survival è sufficiente?

du Bois A, et al. Incorporation of pazopanib in maintenance therapy of ovarian cancer. J Clin Oncol 2014, 15 sep, Epub ahead of print.

La terapia di mantenimento (maintenance) ha l'obiettivo di prolungare il controllo della malattia dopo un trattamento antiblastico di induzione, impattando non solo sulla sopravvivenza libera da progressione ma anche su quella globale. Idealmente, la terapia di mantenimento dovrebbe essere ben tollerata e facilmente somministrabile, per garantire al paziente una ottimale qualità di vita con un numero limitato di accessi in ospedale. Inoltre, tale terapia dovrebbe essere cost-effective, con un prezzo per QUALY inferiore a 100.000 Eu, globalmente considerato un limite accettabile nei paesi industrializzati (Neumann PJ, et al. N Engl J Med 2014).

La classe farmacologica più studiata nella terapia di mantenimento è quella degli inibitori dell'angiogenesi. l'uso di queste molecole ha prodotto risultati interessanti non solo nei tumori ginecologici, ma anche in quelli gastrointestinali e polmonari. Il pazopanib, un inibitore tirosinchinasico orale con attività antiangiogenica, inbisce VEGFR 1-2-3, PDGFR alfa e beta e c-KIT ed è attualmente registrato per uso clinico nei tumori renali e nei sarcomi.

Nello studio internazionale di fase 3 oggetto della pubblicazione, 940 pazienti con malattia in stadio II-IV ben controllata dopo trattamento con almeno 5 cicli di platino e taxani, PS<2 ed adeguata funzionalità d'organo sono state randomizzate a ricevere pazopanib (800 mg/die) ovvero placebo. Le pazienti erano ben bilanciate tra i due bracci dello studio, ed in entrambi i bracci di trattamento il 90% di esse aveva malattia in stadio III o IV.

PFS era l'endpoint primario; gli obiettivi secondari erano la overall survival, la sicurezza e la qualtà di vita. Lo studio mirava ad un incremento del 47% in PFS mediana e del 27% in OS mediana, prevedendo due analisi ad interime per OS (la seconda delle quali, presentata nella pubblicazione, dopo 330 eventi).

Dopo un follow-up mediano di circa 2 anni, si sono registrati 228 eventi nel braccio sperimentale e 273 eventi in quello delle pazienti randomizzate al placebo.

Il trial ha raggiunto l'endpoint primario. La PFS mediana, infatti, si è dimostrata superiore nel braccio sperimentale: 17.9 mesi (95%CI 15.9-21.8) vs 12.3 mesi (95%CI 11.8-17.7), HR 0.77, 95%CI 0.64-0.91, p=0.0021.

Tuttavia, nonostante il vantaggio in PFS, due analisi ad interim e non hanno confermato l'impatto del pazopanib sulla sopravvivenza globale (HR 1.08, 95%CI 0.87-1.33). Inoltre, il trattamento ha causato una maggior frequenza di ipertensione severa (31% vs 5%), diarrea grado 3 o 4 (8% vs 1%), tossicità epatica (9.5% vs 0.5%) e midollare (10% vs 1.5%), con un maggior numero di morti tossiche (3 vs 1).

 

Nonostante la switch maintenance con pazopanib dopo un trattamento antiblastico di induzione sia in grado di prolungare la sopravvivenza libera da progressione di cira 5 mesi (rispetto al placebo), tale strategia non è applicabile universalmente. Infatti, il trattamento non influenza la sopravvivenza globale delle pazienti e causa tossicità non trascurabile. In un momento storico che ci vede affrontare un vertiginoso aumento della spesa farmaceutica con risorse economiche limitate, il valore globale della terapia di mantenimento merita una profonda riflessione.