Patologia genito-urinaria
Sabato, 26 Agosto 2017
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Prolungare l’intervallo libero da platino: MITO ma non realtà

A cura di Massimo Di Maio

Nelle donne con tumore dell’ovaio in progressione 6-12 mesi dopo la fine della terapia con platino, è utile scegliere una terapia senza platino per prolungare l’intervallo libero dal farmaco e aumentarne poi l’efficacia? Lo studio MITO8 ha verificato prospetticamente il quesito

Pignata S, Scambia G, Bologna A, Signoriello S, Vergote IB, Wagner U, Lorusso D, Murgia V, Sorio R, Ferrandina G, Sacco C, Cormio G, Breda E, Cinieri S, Natale D, Mangili G, Pisano C, Cecere SC, Di Napoli M, Salutari V, Raspagliesi F, Arenare L, Bergamini A, Bryce J, Daniele G, Piccirillo MC, Gallo C, Perrone F. Randomized Controlled Trial Testing the Efficacy of Platinum-Free Interval Prolongation in Advanced Ovarian Cancer: The MITO-8, MaNGO, BGOG-Ov1, AGO-Ovar2.16, ENGOT-Ov1, GCIG Study. J Clin Oncol. 2017 Aug 21:JCO2017734293. doi: 10.1200/JCO.2017.73.4293. [Epub ahead of print] PubMed PMID: 28825853.

E’ noto che, nelle donne che abbiano precedentemente ricevuto chemioterapia con platino per un carcinoma ovarico, nel momento in cui la malattia progredisce e necessita ulteriore trattamento, la chance di attività di un nuovo trattamento con platino è tanto maggiore quanto più lungo è l’intervallo di tempo trascorso dal precedente trattamento [platinum-free interval, PFI]. Di conseguenza, il trattamento con platino è associato a una modesta attività quando il trattamento precedente sia terminato meno di 6 mesi prima (malattia platino-resistente), mentre l’attività cresce quando l’intervallo sia superiore ai 12 mesi (malattia platino-sensibile).

Le donne che hanno progressione di malattia tra 6 e 12 mesi dopo la fine del precedente trattamento con platino rappresentano una categoria dalla sensibilità (e dalla prognosi) intermedia rispetto alle suddette due categorie. Già molti anni fa, si era ipotizzato che “ritardando” la somministrazione della chemioterapia con platino, impiegando al momento della prima progressione di malattia un trattamento “platinum-free”, potesse aumentare l’attività della successiva terapia con platino. Qualche anno fa, lo studio retrospettivo SOCRATES (Pignata et al, Oncology 2006; 71:320-326) aveva sollevato interesse attorno al quesito, e sollecitato la conduzione di uno studio prospettico che verificasse l’ipotesi.

Lo studio randomizzato MITO-8 era condotto in aperto ed era disegnato come studio di superiorità, per testare l’efficacia di una chemioterapia “platinum-free” seguita, al momento della progressione, da una chemioterapia con platino (braccio sperimentale), rispetto alla chemioterapia con platino seguita alla progressione da una chemioterapia senza platino (braccio di controllo). Lo studio prevedeva la randomizzazione di pazienti con neoplasia ovarica in progressione da 6 a 12 mesi dopo la fine del precedente trattamento con platino.

Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza globale.

Lo studio era dimensionato ipotizzando un incremento della sopravvivenza globale da 18 mesi (braccio di controllo) a 27 mesi (braccio sperimentale) grazie al prolungamento del platinum-free interval. Con un errore alfa pari al 5% e una potenza pari all’80%, erano necessari 193 eventi, e la randomizzazione di 250 pazienti.

Lo studio ha visto la randomizzazione di 215 pazienti (numero inferiore rispetto al campione pianificato), tra il 2009 ed il 2015, ed è stato interrotto nel 2016 per scarso accrual. Nel dettaglio, 108 pazienti sono state assegnate al braccio standard e 107 pazienti al braccio sperimentale.

La strategia sperimentale determinava, rispettando il razionale dello studio, un prolungamento dell’intervallo libero da platino: il PFI mediano era infatti pari a 7.8 mesi nel braccio sperimentale rispetto a 0.01 mesi nel braccio di controllo.

Sfortunatamente, questo polungamento “artificiale” dell’intervallo libero da platino non si traduce in un prolungamento della sopravvivenza globale, anzi i risultati vanno in direzione opposta: la sopravvivenza mediana è risultata pari a 21.8 mesi nel braccio sperimentale rispetto a 24.5 mesi nel braccio di controllo (hazard ratio 1.38; intervallo di confidenza al 95% 0.99 - 1.94; p = 0.06).

Analogamente, nel braccio sperimentale la sopravvivenza libera da progressione dopo la sequenza delle 2 linee è risultata minore rispetto al braccio di controllo (mediana 12.8 vs. 16.4 mesi, hazard ratio 1.41; intervallo di confidenza al 95% 1.04 - 1.92; p = 0.025).

Dopo tre cicli, le pazienti assegnate al braccio sperimentale presentavano una peggior qualità di vita rispetto alle pazienti trattate subito con platino.

Lo studio MITO-8 presenta vari limiti: è uno studio interrotto prima del raggiungimento del campione previsto, ed è stato condotto in un setting in cui negli anni più recenti sono stati approvati alcuni farmaci biologici (bevacizumab, olaparib) che non erano invece previsti per le pazienti in studio.

Peraltro, MITO8 ci insegna che anche un risultato negativo può essere utile nella pratica clinica. Negli anni scorsi, sulla base del razionale che ha portato anche alla conduzione dello studio, si era diffusa nella pratica clinica la pratica di proporre, a molte pazienti in progressione dopo 6-12 mesi, un trattamento senza platino, con la buona intenzione di incrementare l’efficacia del successivo trattamento. La realtà, ahimé, dice il contrario: la terapia con platino va somministrata subito al momento della progressione.

Gli autori sottolineano che, sulla base di questi risultati, il braccio di controllo degli studi futuri condotti in questo setting rimane la chemioterapia con platino. Questa affermazione è anche una critica allo studio che ha dimostrato l’efficacia della trabectedina, in combinazione con la doxorubicina liposomiale, nelle donne con neoplasia ovarica parzialmente sensibile al platino: in quello studio, il braccio di controllo era rappresentato dalla doxorubicina liposomiale, e i risultati del MITO8 ci dicono che tale trattamento era subottimale rispetto alla chemioterapia con platino.

In conclusione, la morale della favola, anzi del MITO, è che anche il più interessante razionale, anche quando supportato da analisi retrospettive, deve sempre essere verificato in studi prospettici.