Patologia polmonare
Sabato, 11 Aprile 2015

Mantenimento nel microcitoma: proviamo con il sunitinib…

A cura di Massimo Di Maio

Numerosi tentativi di migliorare l’outcome dei pazienti con microcitoma, impiegando una terapia di mantenimento, sono falliti… Pubblicati ora i risultati di uno studio di fase II randomizzato con il sunitinib… Dati interessanti ma preliminari.

Ready NE, Pang HH, Gu L, Otterson GA, Thomas SP, Miller AA, Baggstrom M, Masters GA, Graziano SL, Crawford J, Bogart J, Vokes EE. Chemotherapy With or Without Maintenance Sunitinib for Untreated Extensive-Stage Small-Cell Lung Cancer: A Randomized, Double-Blind, Placebo-Controlled Phase II Study-CALGB 30504 (Alliance). J Clin Oncol. 2015 Mar 2. [Epub ahead of print]

Da molti anni, non si sono registrati progressi significativi nel trattamento dei pazienti affetti da microcitoma. Lo standard di trattamento di prima linea per i pazienti con malattia estesa rimane la combinazione di cisplatino o carboplatino + etoposide.

Uno studio condotto dal gruppo cooperative statunitense CALGB (Cancer and Leukemia Group B) ha esplorato l’efficacia del sunitinib, inibitore di tirosino-chinasi multitarget, già ampiamente noto nella pratica clinica per il suo impiego nei tumori del rene. Lo studio, recentemente pubblicato sul Journal of Clinical Oncology, valutava la terapia con sunitinib come mantenimento, randomizzando i pazienti liberi da progressione al completamento della chemioterapia standard di prima linea con cisplatino o carboplatino + etoposide, a ricevere sunitinib oppure placebo.

Disegno: studio di fase II randomizzato, rapporto di randomizzazione 1:1.

Braccio di controllo: placebo fino a progressione. Era consentito il cross-over a sunitinib dopo la progressione di malattia.

Braccio sperimentale: sunitinib 37.5 mg al giorno, fino a progressione.

Endpoint primario: sopravvivenza libera da progressione.

Lo studio era disegnato con criteri esplorativi “rilassati”, ovvero con un rischio di risultato falso positivo molto alto (alfa 0.15) rispetto a quanto accettato negli studi di fase III, ma accettabile in uno studio di fase II che ha lo scopo di avere la massima potenza nell’identificare un risultato potenzialmente interessante con il farmaco sperimentale. Con 80 pazienti randomizzati, la potenza dello studio era pari all’89% nell’identificare un Hazard Ratio pari a 1.67: in altre parole, in presenza di una buona attività del trattamento sperimentale, lo studio avrebbe avuto la potenza sufficiente per vederla.

Lo studio ha visto la registrazione (che avveniva prima dell’inizio della chemioterapia di prima linea) di 144 pazienti, dei quali 138 hanno effettivamente ricevuto la chemioterapia. Di essi, 95 sono poi stati randomizzati, in quanto senza progressione dopo il completamento della terapia di prima linea. Escludendo 10 pazienti (5 in ciascuno dei due bracci) che pur randomizzati non hanno poi iniziato il trattamento, lo studio ha confrontato 85 pazienti, 41 assegnati al placebo e 44 al sunitinib.

Endpoint primario (PFS): La PFS mediana è risultata pari a 2.1 mesi nel braccio assegnato a placebo, e a 3.7 mesi nel braccio assegnato a sunitinib (Hazard Ratio 1.62; intervallo di confidenza al 70% 1.27 - 2.08; intervallo di confidenza al 95% 1.02 - 2.60; p a una coda= 0.02).

Endpoint secondari:

  • la sopravvivenza mediana è risultata pari a 6.9 mesi nel braccio trattato con placebo e a 9.0 mesi nel braccio assegnato a sunitinib (Hazard Ratio 1.28; intervallo di confidenza al 95% 0.79 - 2.10; p a una coda = 0.16).
  • Le principali tossicità severe registrate con sunitinib sono state la fatigue (19%, ma registrata anche nel 10% dei pazienti trattati con placebo), la neutropenia (14%), la leucopenia (7%), la piastrinopenia (7%). Pochi sono stati gli eventi di grado 4.
  • Tre pazienti trattati con sunitinib hanno ottenuto una risposta completa durante il mantenimento (nessuno invece l’ha ottenuta tra i pazienti trattati con placebo).

Lo studio randomizzato di fase II ha prodotto un risultato formalmente positivo, vale a dire un prolungamento significativo della sopravvivenza libera da progressione, che era stata scelta come endpoint primario dello studio.

In generale, la randomizzazione in fase II offre l’opportunità di interpretare meglio i risultati ottenuti, in quanto un braccio singolo (salvo risultati “eccezionali”) renderebbe difficile capire quanto del risultato ottenuto sia realmente attribuibile al farmaco sperimentale e quanto non sia invece dovuto alla semplice selezione favorevole dei pazienti.

Ciò detto, va sottolineato che in termini assoluti il beneficio osservato non è risultato molto grande (la differenza in PFS mediana tra i 2 bracci di trattamento risulta pari a circa 1 mese e mezzo). Peraltro, lo studio mirava solo a “esplorare” l’attività della strategia di mantenimento, senza produrre alcuna evidenza definitiva, e quindi ogni ragionamento sulla rilevanza clinica del risultato è del tutto prematuro.

La speranza è che gli sforzi di ricerca in questa patologia si traducano, quanto prima, in concrete possibilità terapeutiche da impiegare nella pratica clinica.