Patologia polmonare
Sabato, 06 Febbraio 2016

Riuscirà l’infiltrato ad evitare la morte del protagonista?

A cura di Massimo Di Maio

Non è la trama di un film di spionaggio, ma l’analisi del ruolo prognostico dell’infiltrato linfocitario in pazienti operati per tumore del polmone. L’infiltrato intenso è associato ad una prognosi migliore, ma è presente in una percentuale molto limitata di casi.

Brambilla E, Le Teuff G, Marguet S, Lantuejoul S, Dunant A, Graziano S, Pirker R, Douillard JY, Le Chevalier T, Filipits M, Rosell R, Kratzke R, Popper H, Soria JC, Shepherd FA, Seymour L, Tsao MS. Prognostic Effect of Tumor Lymphocytic Infiltration in Resectable Non-Small-Cell Lung Cancer. J Clin Oncol. 2016 Feb 1. [Epub ahead of print]

Negli ultimi tempi, con la sperimentazione di immuno-terapie di nuova generazione, il dibattito sul significato biologico, prognostico e predittivo dell’infiltrato linfocitario (TLI, tumor infiltrating lymphocites) è di grande attualità in numerosi tumori solidi.

Indipendentemente dal quesito aperto relativo al ruolo predittivo sull’efficacia delle nuove immunoterapie, molti studi hanno provato ad analizzare il ruolo prognostico del TLI anche in pazienti sottoposti a trattamenti tradizionali, nell’ipotesi che un intenso infiltrato, espressione di una forte risposta immunitaria nei confronti del tumore, possa essere associato a una prognosi migliore.

Gli autori dell’articolo recentemente pubblicato su JCO sono andati a verificare tale ipotesi in una serie di pazienti sottoposti a chirurgia per tumore del polmone in stadio operabile, e successivamente inseriti in 4 studi randomizzati di chemioterapia adiuvante.

Gli studi erano tutti disegnati per valutare l’efficacia di una chemioterapia a base di platino: IALT, ANITA, JBR10 e CALGB 9633.

I dati di IALT sono stati usati come set di analisi iniziale (“discovery set”), i dati degli altri 3 studi come set di validazione (“validation set”).

L’intensità dell’infiltrato linfocitario è stata inizialmente classificata in 4 categorie (minima, lieve, moderata, intensa), e successivamente le prime 3 categorie sono state unite in una sola, riconducendo le analisi al confronto binario (infiltrato intenso vs. non intenso).

Endpoint di outcome:

  • Sopravvivenza globale (OS)
  • Sopravvivenza libera da malattia (disease-free survival, DFS)
  • Sopravvivenza libera da malattia specifica per tumore (SDFS)

Il discovery set includeva 783 pazienti, nei quali si erano registrati 409 eventi (decessi), con un follow-up mediano pari a 4.8 anni.

Il validation set includeva invece 763 pazienti, nei quali si erano registrati 344 decessi, con un follow-up mediano pari a 6 anni.

L’infiltrato linfocitario tumorale è stato riscontrato intenso in una limitata percentuale di pazienti (11% nel discovery set e 6% nel validation set).

In entrambi i set di pazienti, l’intensità dell’infiltrato linfocitario tumorale è risultato associato ad una prognosi significativamente migliore.

Discovery set:

  • Sopravvivenza globale: Hazard Ratio 0.56; intervallo di confidenza al 95% 0.38 - 0.81; p = 0.002;
  • Disease-free survival: Hazard Ratio 0.59; intervallo di confidenza al 95% 0.42 - 0.83; p = 0.002;
  • Disease-free survival specifica per tumore: Hazard Ratio 0.56; intervallo di confidenza al 95% 0.38 - 0.82; p = 0.003)


Validation set:

  • Sopravvivenza globale: Hazard Ratio 0.45; intervallo di confidenza al 95% 0.23 - 0.85; p = 0.01;
  • Disease-free survival: Hazard Ratio 0.44; intervallo di confidenza al 95% 0.24 - 0.78; p = 0.005;
  • Disease-free survival specifica per tumore: Hazard Ratio 0.42; intervallo di confidenza al 95% 0.22 - 0.80; p = 0.008)

L’analisi non ha evidenziato significativa eterogeneità tra i vari studi.

A differenza del ruolo prognostico, non è stato evidenziato alcun ruolo predittivo per l’infiltrato linfocitario rispetto all’efficacia del trattamento adiuvante.

I risultati pubblicati sul Journal of Clinical Oncology sono interessanti in quanto aggiungono un tassello alla letteratura sul ruolo prognostico dell’infiltrato linfocitario, espressione della complessa interazione tra biologia del tumore, risposta immunitaria ed efficacia dei trattamenti antitumorali.
In questo caso, il setting esplorato era quello dei pazienti con tumore del polmone operato, nei quali da anni è dimostrata l’efficacia del trattamento adiuvante.

L’informazione utile che ricaviamo dallo studio è quella prognostica, vale a dire il dato che il rischio di recidiva, e di morte, è significativamente più basso nei casi caratterizzati da un intenso infiltrato linfocitario. Gli autori sottolineano che si tratta del primo studio di validazione in questo setting e, nelle conclusioni, si sbilanciano a suggerire, alla luce del forte ruolo prognostico dell’infiltrato linfocitario, l’eventuale incorporazione di tale variabile nella stadiazione, il cosiddetto “TNM immunoscore”.

I lati “negativi” sono due: innanzitutto, parliamo di un sottogruppo numericamente molto ristretto di pazienti. Inoltre, l’analisi non ci fornisce informazioni utili sul piano predittivo, vale a dire non sappiamo identificare meglio, sulla base dell’infiltrato linfocitario, pazienti che si beneficiano di più o di meno dalla chemioterapia adiuvante con platino. Ottimizzare la terapia adiuvante vuol dire non solo identificare trattamenti più efficaci, ma anche saper selezionare meglio i pazienti realmente candidati a beneficiarne, considerata la tossicità e la limitata efficacia del trattamento attualmente disponibile. La strada da fare è ancora lunga.