Patologia polmonare
Sabato, 11 Giugno 2016

Quando la terapia target diventa una combinazione anche nel polmone: l'esempio della mutazione di BRAF

A cura di Massimo Di Maio

Qualche mese fa, erano stati pubblicati i dati di attività di dabrafenib in monoterapia nei pazienti con tumore del polmone con mutazione di BRAF: attività incoraggiante, ma non clamorosa. Molto più attiva, a giudicare dallo studio di fase II appena pubblicato, sembra la combinazione di dabrafenib e trametinib.

Planchard, David et al. Dabrafenib plus trametinib in patients with previously treated BRAFV600E-mutant metastatic non-small cell lung cancer: an open-label, multicentre phase 2 trial. The Lancet Oncology , June 6 2016 [Epub ahead of print]

Le mutazioni di BRAF sono descritte in una piccola percentuale di pazienti affetti da tumore del polmone non a piccole cellule. Un precedente studio, pubblicato in extenso qualche mese fa su Lancet Oncology, ha documentato una discreta attività di dabrafenib in tali pazienti (Planchard et al, Lancet Oncol aprile 2016).

In analogia a quanto osservato nel melanoma, la combinazione di dabrafenib (inibitore appunto di BRAF) e trametinib (inibitore di MEK, ovvero di una seconda tappa, più a valle, nella pathway di MAPK attivata da BRAF) è stata sperimentata anche nei pazienti con tumore del polmone, selezionati per la presenza della mutazione V600E di BRAF.

Lo studio appena pubblicato su Lancet Oncology era uno studio di fase II, multicentrico, non randomizzato, in aperto.

Erano eleggibili pazienti con NSCLC avanzato, pretrattato, in stadio IV, che fossero in progressione dopo almeno 1 precedente linea con platino ma non avessero ricevuto più di 3 linee di trattamento. Il precedente trattamento con inibitori di BRAF o di MEK rappresentava un criterio di esclusione. La presenza di metastasi encefaliche non rappresentava un criterio di esclusione, purché asintomatiche, non trattate (o stabilizzate) e di dimensioni sub-centimetriche.

Il trattamento sperimentale consisteva nella somministrazione di dabrafenib (150 mg, per os due volte al giorno) e trametinib (2 mg al giorno per os), fino a progressione di malattia o tossicità inaccettabile.

Endpoint primario dello studio era la proporzione di risposte obiettive, calcolata secondo intention-to-treat sull'intera popolazione di pazienti eleggibili (ovvero pazienti trattati in seconda linea o linea successiva).

Endpoint secondario era la descrizione della tollerabilità del trattamento.

Lo studio è registrato su ClinicalTrials.gov, con il numero NCT01336634.

Complessivamente, sono stati inseriti nello studio 59 pazienti da parte di 30 centri in 9 paesi, tra Nord America, Europa e Asia.
L'accrual è stato completato in circa un anno, tra il dicembre 2013 e il gennaio 2015.
Dal momento che lo studio prevedeva l'inserimento di pazienti pretrattati con platino, 2 pazienti non pretrattati sono stati esclusi dalle analisi, che sono quindi state eseguite sui rimanenti 57 pazienti.

Una risposta obiettiva (endpoint primario) è stata registrata in 36 pazienti (pari al 63.2%, intervallo di confidenza al 95% 49.3 – 75.6]).

La tossicità della combinazione è stata non trascurabile: eventi avversi seri sono stati riportati in 32 pazienti 56%). Nel dettaglio, febbre in 9 (16%), anemia in 3 (5%), stato confusionale in 2 (4%), diminuzione dell'appetito in 2 (4%), emottisi in 2 (4%), ipercalcemia in 2(4%), nausea in 2 4%), carcinoma squamocellulare cutaneo in 2(4%).

Gli eventi avversi di grado 3-4 più comuni sono stati la neutropenia in 5 pazienti (9%), iponatremia in 4 (7%), e anemia in 3 (5%).

Gli autori giudicano la combinazione di dabrafenib e trametinib come una possibile opportunità terapeutica nei pazienti con tumore del polmone con mutazione V600E di BRAF, in considerazione della buona attività in termini di risposte obiettive e della tossicità non trascurabile ma complessivamente accettabile.

Lo studio di Blanchard e colleghi è solo un esempio di una situazione che si sta verificando sempre più frequentemente, con la diffusione delle tecniche di caratterizzazione molecolare nei vari tumori solidi: vale a dire il riscontro di un'alterazione molecolare già nota in un altro tumore solido (in questo caso, la mutazione V600E di BRAF), e per la quale esistono trattamenti di provata efficacia in altri tumori (in questo caso, la combinazione di dabrafenib e trametinib nel melanoma).

A nostro avviso, l'evidenza di efficacia in un altro tumore non è sufficiente per considerare attivo ed efficace il trattamento anche nelle altre neoplasie: quella che è una mutazione driver in un tumore potrebbe avere un ruolo meno decisivo in un altro. Sono quindi necessari studi dedicati, come appunto quello condotto da Blanchard e colleghi. Studi come questi dimostrano che, anche nel caso di alterazioni non comuni, in tempi relativamente piccoli è possibile condurre uno studio di fase II e documentare l'attività del trattamento.

Una volta dimostrata l'elevata proporzione di risposte obiettive in uno studio di fase II a singolo braccio, quali devono essere le tappe successive per discutere l'eventuale approvazione del trattamento e il suo possibile impiego nella pratica clinica? Uno studio randomizzato? Una semplice "coorte" di espansione con numeri un po' più grandi? Nessun altro studio? La risposta è difficile e la storia recente ci insegna che il parere a riguardo può essere eterogeneo anche tra le diverse autorità regolatorie. A nostro avviso, una randomizzazione precoce anche in fase II consentirebbe, senza aumentare troppo i numeri di pazienti necessari, di acquisire precocemente evidenza comparativa sull'efficacia del trattamento rispetto alle altre opzioni già esistenti, quantificandone meglio il beneficio.