Patologia polmonare
Sabato, 21 Gennaio 2017
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Meglio tardi che mai?

A cura di Massimo Di Maio

Nei pazienti con tumore del polmone eleggibili per la chemioterapia adiuvante, si dovrebbe iniziare entro un paio di mesi dalla chirurgia. Ma cosa succede se, per vari motivi, si inizia in ritardo? Secondo uno studio retrospettivo americano, varrebbe comunque la pena di farla.

Salazar MC, Rosen JE, Wang Z, Arnold BN, Thomas DC, Herbst RS, Kim AW, Detterbeck FC, Blasberg JD, Boffa DJ. Association of Delayed Adjuvant Chemotherapy With Survival After Lung Cancer Surgery. JAMA Oncol. Published online January 05, 2017. doi:10.1001/jamaoncol.2016.5829

Da vari anni, sulla base di vari studi randomizzati e metanalisi, la chemioterapia adiuvante rappresenta lo standard di trattamento per i pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC) sottoposti a intervento chirurgico, in stadio II e III. Naturalmente, la decisione di proporre il trattamento chemioterapico adiuvante (che da linee guida dovrebbe essere rappresentato da una combinazione contenente cisplatino) dipende dalle caratteristiche del paziente, nonché dal suo recupero post-operatorio.

In molti casi, la lentezza di tale recupero, unita ad eventuali complicanze post-operatorie, costringono a posticipare il momento in cui sarebbe possibile iniziare la chemioterapia adiuvante: a fronte di un inizio ideale entro le 6-8 settimane dall’intervento chirurgico, alcuni pazienti possono essere sottoposti a chemioterapia solo dopo un intervallo di tempo maggiore. In tal caso, la domanda nasce spontanea: la chemioterapia è comunque efficace oppure, analogamente a quanto alcuni studi hanno evidenziato in altre patologie, come il tumore della mammella o il tumore del colon, il ritardo rischia di compromettere in tutto o in parte la sua efficacia?

Uno studio retrospettivo statunitense, appena pubblicato su JAMA Oncology, ha provato a rispondere a questo interessante quesito dai risvolti pratici.

Lo studio ha preso in considerazione i dati del National Cancer Database, un registro ospedaliero che raccoglie i dati di oltre il 70% dei casi di tumore del polmone trattati negli Stati Uniti. Gli autori hanno analizzato i dati dei pazienti sottoposti a resezione chirurgica radicale di NSCLC tra il 2004 ed il 2012, classificandoli sulla base dell’intervallo di tempo trascorso tra l’intervento chirurgico e l’inizio dell’eventuale chemioterapia adiuvante.

Nel gruppo sottoposto a chemioterapia, sono stati considerati i pazienti che avessero iniziato tra i 18 e i 127 giorni dopo l’intervento chirurgico, eliminando i soli “outliers”, vale a dire i pazienti con un intervallo “estremo”, troppo piccolo o inaccettabilmente lungo.

Al fine di condurre l’analisi in una popolazione di pazienti analoga a quella per la quale le linee guida raccomandano la chemioterapia adiuvante, sono stati considerati solo i pazienti in stadio II o III, e in aggiunta i pazienti in stadio I, purché il tumore primitivo avesse diametro maggiore di 4 cm. Sono stati esclusi i pazienti trattati con radioterapia adiuvante, nonché i pazienti sottoposti a una chemioterapia esplicitamente non standard (mono-chemioterapia).

Endpoint principale dell’analisi era la sopravvivenza globale.

Complessivamente, sono stati inseriti nell’analisi 12474 pazienti, con un’età mediana di 64 anni (range interquartile compreso tra 57 e 70 anni): 3073 pazienti (25%) erano in stadio I, 5981 pazienti (pari al 48%) erano in stadio II, 3419 pazienti (pari al 27%) erano in stadio III.

L’analisi della mortalità ha identificato la miglior sopravvivenza nel gruppo di pazienti che avevano iniziato la chemioterapia tra 39 e 56 giorni dopo l’intervento chirurgico.

Peraltro, il gruppo di pazienti che aveva iniziato la chemioterapia dopo un intervallo di tempo maggiore (vale a dire compreso tra 57 e 127 giorni) non ha evidenziato una peggiore mortalità rispetto al gruppo che aveva iniziato dopo un tempo ottimale (Hazard Ratio 1.037, intervallo di confidenza al 95% 0.972 – 1.105, p=0.27).

Confrontando la sopravvivenza del gruppo di pazienti che avevano iniziato la chemioterapia “in ritardo” rispetto alla tempistica ideale, con la sopravvivenza di un gruppo di pazienti con pari caratteristiche cliniche ma che non avevano invece ricevuto alcun trattamento adiuvante (appaiati mediante la tecnica del propensity score), la chemioterapia somministrata in ritardo è risultata associata a un significativo beneficio in termini di sopravvivenza (Hazard Ratio 0.664, intervallo di confidenza al 95% 0.623 – 0.707, p<0.001).

Gli autori concludono che, sulla base della loro analisi retrospettiva, la chemioterapia adiuvante appare associata a un beneficio significativo in termini di sopravvivenza globale anche quando, per vari motivi, si fosse costretti ad iniziarla oltre l’intervallo generalmente considerato “standard”, vale a dire oltre le 6-8 settimane dopo l’intervento chirurgico.

Naturalmente, come ampiamente sottolineato dagli stessi autori nella discussione dell’articolo, le analisi eseguite presentano tutti i limiti delle analisi retrospettive. Per quanto corretto mediante propensity score, che dovrebbe consentire di confrontare tra loro gruppi di pazienti caratterizzati dalle medesime caratteristiche, il confronto in termini di sopravvivenza tra il gruppo di pazienti che ha ricevuto chemioterapia in ritardo e il gruppo di pazienti non trattato con chemioterapia adiuvante è indubbiamente molto debole, in quanto i possibili motivi clinici che hanno portato alla decisione di non eseguire chemioterapia potrebbero ovviamente avere essi stessi un impatto negativo sull’aspettativa di vita, favorendo quindi il gruppo trattato “in ritardo”.

D’altra parte, è chiaro che ad un quesito del genere è praticamente impossibile rispondere mediante studi randomizzati: un paziente che non avesse iniziato la chemioterapia entro l’intervallo considerato “standard” dovrebbe accettare di essere randomizzato a ricevere il trattamento, sebbene in ritardo, oppure a non ricevere alcun trattamento. In assenza di studi di questo tipo, ovviamente difficili da proporre e da condurre, il risultato dell’analisi pubblicata su JAMA Oncology può essere pragmaticamente interpretato come “Meglio tardi che mai…”