Patologia polmonare
Sabato, 11 Agosto 2018

Anlotinib: dalla Cina ma... senza furore!

A cura di Massimo Di Maio

Uno studio randomizzato condotto in Cina documenta un prolungamento della sopravvivenza con anlotinib nei pazienti con tumore del polmone ampiamente pretrattato. Il risultato è interessante ma presenta limiti di applicabilità

Han B, Li K, Wang Q, et al. Effect of Anlotinib as a Third-Line or Further Treatment on Overall Survival of Patients With Advanced Non–Small Cell Lung CancerThe ALTER 0303 Phase 3 Randomized Clinical Trial. JAMA Oncol. Published online August 09, 2018. doi:10.1001/jamaoncol.2018.3039

Anlotinib è un nuovo farmaco, inibitore multitarget di tirosino-chinasi, in grado di bloccare vari bersagli cellulari implicati nell’angiogenesi e nei segnali proliferativi.

Un precedente studio randomizzato di fase II aveva documentato un miglioramento della sopravvivenza libera da progressione (progression-free survival, PFS), senza però dimostrare un prolungamento significativo della sopravvivenza globale. Il risultato era stato giudicato comunque promettente per giustificare la conduzione di uno studio di fase III, disegnato proprio per dimostrare il beneficio in sopravvivenza globale.

Lo studio ALTER0303, condotto in Cina, prevedeva l’inclusione di pazienti affetti da tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC) avanzato, di età compresa tra 18 e 75 anni, che avessero già ricevuto almeno tre linee di terapia, oppure due linee ma che non fossero eleggibili per ulteriori trattamenti attivi. I pazienti con mutazione di EGFR o con traslocazione di ALK dovevano aver ricevuto un trattamento target per la rispettiva alterazione molecolare per poter essere eleggibili per la randomizzazione. I casi con tumore squamoso a rischio di sanguinamento o con metastasi cerebrali non controllate erano esclusi dallo studio.

Lo studio prevedeva la randomizzazione 2:1 a favore del braccio sperimentale.

  • I pazienti assegnati al braccio sperimentale ricevevano anlotinib alla dose quotidiana di 12 mg (con possibilità di riduzione di dose in base alla tollerabilità del trattamento);
  • i pazienti assegnati al braccio di controllo ricevevano placebo.

Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza globale.
Endpoint secondari erano la sopravvivenza libera da progressione, la proporzione di risposte obiettive, il controllo di malattia, la qualità di vita e la tollerabilità del trattamento.

Lo studio era dimensionato per evidenziare una riduzione del 30% del rischio di morte a favore del trattamento sperimentale (hazard ratio 0.70, mediana di sopravvivenza globale ipotizzata pari a 11.0 mesi nel braccio sperimentale e 7.0 mesi nel braccio di controllo). Con tale ipotesi, con un rapporto di randomizzazione 2:1 ed errore alfa 0.05, erano necessari 291 eventi (decessi) per garantire una potenza pari all’85%. Lo studio pianificava di ottenere tali eventi randomizzando 450 pazienti.

I pazienti sono stati randomizzati presso 31 ospedali cinesi, nel periodo compreso dal marzo 2015 all’agosto 2016.

Complessivamente, sono stati randomizzati 439 pazienti, dei quali 296 assegnati al braccio sperimentale con anlotinib e 143 al braccio di controllo con placebo.

In entrambi i bracci, circa un terzo dei pazienti era di sesso femminile, con un’età mediana pari a 58 anni nel braccio sperimentale e 57 anni nel braccio di controllo.

La sopravvivenza globale è risultata significativamente prolungata nel braccio sperimentale (con una mediana pari a 9.6 mesi rispetto 6.3 mesi nel braccio di controllo), con un hazard ratio pari a 0.68 (intervallo di confidenza al 95% 0.54 – 0.87, p=0.002).

Il trattamento con anlotinib è risultato associato anche a un miglioramento significativo della PFS (mediana pari a 5.4 mesi rispetto a 1.4 mesi con il placebo, hazard ratio 0.25, intervallo di confidenza al 95% 0.19 – 0.31, p<0.001).

Il trattamento con anlotinib è risultato associato a un significativo incremento della proporzione di risposte obiettive (9.2% vs 0.7%; p < 0.001) e di controllo della malattia (81% vs 37.1%, p<0.001).

Gli eventi avversi più comunemente riportati con anlotinib sono stati l’ipertensione e l’iponatriemia. Il trattamento con anlotinib non ha determinato un significativo peggioramento della qualità di vita rispetto al placebo (coerentemente con il buon profilo di tollerabilità), non evidenziando peraltro neanche un miglioramento significativo. 

 

Sulla base dei risultati sopra sintetizzati, gli autori concludono che, nella casistica cinese inserita nello studio, anlotinib si è dimostrato efficace nel prolungare sia la PFS che la sopravvivenza globale,proponendosi come un trattamento ben tollerato e come un potenziale trattamento di terza linea o successiva per i pazienti affetti da NSCLC avanzato.

Come riconosciuto nella discussione del lavoro, lo studio presenta vari limiti metodologici.

Innanzitutto, lo scenario terapeutico attualmente disponibile per i pazienti con NSCLC avanzato, pur essendo passati solo 3 anni dall’inizio della randomizzazione, è profondamente cambiato, soprattutto per la introduzione nella pratica clinica, sia come trattamento di prima linea che come trattamento di seconda linea, dei nuovi farmaci immunoterapici. Al momento del disegno dello studio, l’assenza di terze linee di efficacia provata rendevano ragionevole la conduzione di uno studio randomizzato in cui i pazienti assegnati al braccio di controllo ricevevano il placebo, avendo già ricevuto la chemioterapia standard e, in caso di presenza di alterazione molecolare target, la rispettiva terapia molecolare.
Nelle conclusioni, gli autori affermano, un po’ azzardatamente, che la PFS dimostrata dall’anlotinib in questo studio si confronta favorevolmente con il risultato ottenuto dal nivolumab in precedenti studi. Questa affermazione è in realtà molto debole (molto poco pertinente appare il confronto indiretto in termini di PFS), e l’assenza dell’immunoterapia nei trattamenti ricevuti dai pazienti in studio pesa indubbiamente molto sulla solidità e sull’applicabilità del risultato.

Altro limite, anch’esso elencato dagli autori stessi, è l’assenza di biomarkers potenzialmente utili per la selezione dei pazienti che si beneficino del trattamento con anlotinib.

Insomma, un risultato formalmente positivo ma la cui ricaduta clinica ed applicabilità, alla luce dei recenti cambiamenti nello scenario terapeutico del NSCLC avanzato, sono da interpretare con cautela.