Immunoterapia
Sabato, 14 Gennaio 2017

Anche nei tumori uroteliali ci sarà concorrenza tra i farmaci immunoterapici?

A cura di Massimo Di Maio

I tumori uroteliali sono sicuramente nella lista dei tumori solidi per i quali si prospetta, nella futura pratica clinica, un ruolo dell’immunoterapia. Lo studio KEYNOTE 012 di pembrolizumab prevedeva una coorte di pazienti con carcinoma uroteliale, e sono ora pubblicati i risultati di attività.

Elizabeth R Plimack, Joaquim Bellmunt, Shilpa Gupta, Raanan Berger, Laura Q M Chow, Jonathan Juco, Jared Lunceford, Sanatan Saraf, Rodolfo F Perini, Peter H O'Donnell, Safety and activity of pembrolizumab in patients with locally advanced or metastatic urothelial cancer (KEYNOTE-012): a non-randomised, open-label, phase 1b study, The Lancet Oncology, Available online 10 January 2017, ISSN 1470-2045, http://dx.doi.org/10.1016/S1470-2045(17)30007-4.

I tumori uroteliali sono sicuramente nella lista dei tumori solidi per i quali si prospetta, nella futura pratica clinica, un ruolo dell’immunoterapia. Ad oggi, pur non essendo disponibili farmaci nella pratica clinica, i risultati recentemente ottenuti in primis con atezolizumab e a seguire con diversi altri inibitori di PD-1 e PD-L1, fanno sperare che, nel prossimo futuro, i pazienti affetti da neoplasia uroteliale avanzata potranno beneficiarsi di questo innovativo approccio terapeutico.

L’articolo pubblicato su Lancet Oncology descrive i risultati ottenuti nella coorte di pazienti affetti da neoplasia uroteliale localmente avanzata o metastatica, inseriti nello studio di fase IB “basket” KEYNOTE-012, condotto con l’anticorpo anti-PD-1 pembrolizumab.

Erano eleggibili nello studio pazienti di età superiore a 18 anni, con diagnosi citologica o istologica di neoplasia uroteliale localmente avanzata o metastatica, inclusi i tumori della pelvi renale, dell’uretere, della vescica o dell’uretra.

Per essere eleggibili per l’inclusione nello studio, il tumore doveva presentare un’espressione di PD-L1 in almeno l’1% delle cellule tumorali o dello stroma tumorale, determinata mediante immunoistochimica.

Il trattamento sperimentale consisteva nella somministrazione di pembrolizumab, alla dose di 10 mg/kg, ogni 2 settimane, fino a progressione di malattia, tossicità inaccettabile, per un massimo di 24 mesi di trattamento.

Endpoints primari dello studio erano la descrizione della tollerabilità del trattamento e l’attività del trattamento, misurata mediante criteri RECIST versione 1.1 attraverso una revisione centrale, indipendente.

Per la descrizione della tollerabilità del trattamento, erano eleggibili tutti i pazienti che avessero ricevuto almeno una dose di terapia.

Per la descrizione dell’attività del trattamento, erano eleggibili tutti i pazienti che avessero ricevuto almeno una dose di terapia, avessero malattia misurabile alla valutazione basale, e che avessero almeno una rivalutazione strumentale successiva al basale, oppure fossero stati costretti ad interrompere per progressione di malattia o per tossicità del trattamento.

Su un totale di 115 pazienti complessivamente valutati per l’espressione immunoistochimica di PD-L1, 61 pazienti, pari al 53%, erano PD-L1 positivi, dei quali 33 sono stati inseriti nello studio.

Tutti i 33 pazienti sono stati valutati per la tollerabilità, mentre 27 sono stati valutati per l’attività del trattamento.

L’effetto collaterale più comunemente riportato nella popolazione di pazienti in studio è stata la fatigue (18%), seguita dall’edema periferico (12%). Un evento avverso di grado 3 è stato riportato in 5 pazienti (pari al 15%), con eventi avversi seri correlati al trattamento riportati in 3 pazienti. Nessun decesso avvenuto durante il trattamento è stato giudicato correlato al trattamento stesso.

Dopo un follow-up mediano pari a 13 mesi, sette pazienti (pari al 26%) hanno ottenuto una risposta obiettiva (nel dettaglio, 3 risposte complete, pari all’11%, e 54 risposte parziali, pari al 15%).

I risultati dello studio di fase I documentano un’accettabile tollerabilità del pembrolizumab nei pazienti con neoplasia uroteliale avanzata, e suggeriscono un discreto grado di attività. Tali risultati, di per sé, sono troppo preliminari per consentire di trarre alcuna conclusione sul potenziale ruolo di pembrolizumab in questo setting.

D’altra parte, i risultati di pembrolizumab si vanno ad aggiungere a quelli che sono stati recentemente ottenuti con altri farmaci immune checkpoint inhibitors, in particolare con l’atezolizumab, che sulla base di una interessante attività dimostrata dopo il fallimento di una precedente terapia con platino è stato approvato dalla FDA per tale indicazione.

Sono attualmente in corso vari studi che puntano a caratterizzare meglio l’attività e l’efficacia di pembrolizumab nei pazienti affetti da carcinoma uroteliale. Gli autori commentano i dati ottenuti nei 33 pazienti del KEYNOTE-012, sottolineando che le risposte complete ottenute e la durata delle risposte suggeriscono che una proporzione non trascurabile di pazienti possa beneficiarsi di un’attività di lunga durata. Va detto peraltro che i numeri di pazienti sono assolutamente piccoli per consentire di trarre conclusioni robuste.

Per quanto riguarda il tentativo di impiegare l’espressione di PD-L1 come fattore predittivo dell’efficacia di pembrolizumab (erano eleggibili nello studio solo pazienti con tumore che avesse un’espressione di PD-L1 pari ad almeno l’1% sulle cellule tumorali o a livello dello stroma tumorale) è opportuno fare alcune considerazioni:
  • Il ruolo predittivo positivo di PD-L1 si conferma subottimale, in quanto (almeno con il cut-off selezionato) la proporzione di risposte obiettive è comunque pari a circa un quarto della casistica trattata;
  • Alcuni degli studi attualmente in corso con pembrolizumab in questo setting consentono l’inclusione anche dei casi senza espressione di PD-L1: questo consentirà di caratterizzare meglio anche il ruolo predittivo negativo dell’assenza di espressione del biomarker;
  • Evidenze preliminari ottenute negli studi condotti con atezolizumab suggeriscono che altri biomarker (inclusa una signature molecolare) potrebbero essere utili nel predire l’attività e l’efficacia degli immune checkpoint inhibitors;
  • La discrepanza rilevata in alcuni casi tra la positività inizialmente dimostrata con il kit utilizzato per lo screening e la successiva negatività riscontrata con il kit definitivo usato nello studio, sottolinea ancora una volta l’eterogeneità di espressione di PD-L1, un’eterogeneità non solo temporale (in momenti diversi della storia naturale del tumore), ma anche spaziale (tra punti diversi della malattia), ribadendo anche le difficoltà tecniche legate alla qualità dei test diagnostici e alla determinazione dell’espressione.