Immunoterapia
Sabato, 08 Aprile 2023

CAR-T nel neuroblastoma: prestigioso risultato per la ricerca accademica italiana

A cura di Massimo Di Maio

Pubblicati sul New England Journal of Medicine i risultati dello studio di fase 1-2 che testava l’impiego delle CAR-T in pazienti con neuroblastoma pretrattato: i risultati sono rilevanti, sia per la discreta tollerabilità sia per l’elevata attività riscontrata. Un successo per la ricerca accademica italiana.

Del Bufalo F, De Angelis B, Caruana I, Del Baldo G, De Ioris MA, Serra A, Mastronuzzi A, Cefalo MG, Pagliara D, Amicucci M, Li Pira G, Leone G, Bertaina V, Sinibaldi M, Di Cecca S, Guercio M, Abbaszadeh Z, Iaffaldano L, Gunetti M, Iacovelli S, Bugianesi R, Macchia S, Algeri M, Merli P, Galaverna F, Abbas R, Garganese MC, Villani MF, Colafati GS, Bonetti F, Rabusin M, Perruccio K, Folsi V, Quintarelli C, Locatelli F; Precision Medicine Team–IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. GD2-CART01 for Relapsed or Refractory High-Risk Neuroblastoma. N Engl J Med. 2023 Apr 6;388(14):1284-1295. doi: 10.1056/NEJMoa2210859. PMID: 37018492.

Il termine CAR-T è una sigla che deriva dall'inglese Chimeric Antigen Receptor T-cell. L’acronimo letteralmente significa "cellule T con recettore chimerico per l'antigene", e indica i linfociti T autologhi (prelevati dal paziente stesso) e modificati geneticamente in laboratorio in modo da renderli capaci di attaccare le cellule tumorali una volta re-infuse nella stessa persona da cui sono state prelevate.

La strategia basata sull’impiego delle CAR-T punta a sfruttare un meccanismo presente nel sistema immunitario: la capacità dei linfociti T citotossici di attaccare cellule dell'organismo anomale (come appunto le cellule tumorali). Il riconoscimento dell'antigene modificato da parte dei linfociti avviene attraverso un recettore specifico presente sulla superficie cellulare del linfocita stesso. Nella produzione in laboratorio delle cellule CAR-T, il recettore del linfocita viene modificato in modo tale da riconoscere gli antigeni presenti sulle cellule tumorali e trasmettere al linfocita un segnale di attivazione per eliminarli. Per questa sua duplice funzione il nuovo recettore è detto chimerico.

Le cellule CAR-T rappresentano attualmente un valido trattamento per le neoplasie ematologiche a cellule B. Peraltro, nel campo dei tumori solidi, il percorso verso lo sviluppo di una terapia efficace mediante l’impiego delle cellule CAR-T è stato finora molto impegnativo.

Il neuroblastoma è il tumore solido extracranico più comune nei bambini ed è responsabile dell'11% di tutti i decessi per cancro nella popolazione pediatrica. Quasi la metà dei pazienti ha una malattia ad alto rischio alla diagnosi e la sopravvivenza libera da eventi a 5 anni tra questi pazienti è del 40-50%. Purtroppo, i piccoli pazienti nei quali la terapia di prima linea fallisce hanno una probabilità molto bassa di successo con i trattamenti successivi e hanno una prognosi infausta, con una sopravvivenza a lungo termine di circa il 5-10%.

Le cellule di neuroblastoma esprimono alti livelli del disialoganglioside GD2 e il targeting del disialoganglioside GD2 con anticorpi monoclonali è stato associato a un significativo aumento della sopravvivenza tra i pazienti ad alto rischio, risultati che indicano la sensibilità del neuroblastoma all'immunoterapia e la rilevanza di quell’antigene.

Il Precision Medicine Team dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma ha sviluppato un costrutto CAR diretto da GD2 che incorpora due domini costimolatori - CD28 e 4-1BB. Al fine di affrontare i potenziali effetti neurotossici associati all'uso delle cellule CAR T di terza generazione (GD2-CART01), è stato incluso il gene inducibile per la caspasi 9 (iC9), capace di scatenare il “suicidio” cellulare, come “interruttore di sicurezza” che consente di uccidere le cellule trasferite adottivamente in caso di insorgenza di tossicità severa.

Nella recente pubblicazione sulle pagine del New England of Medicine (6 aprile 2023), gli autori riportano i risultati a 3 anni dello studio clinico di fase 1-2, condotto in giovani pazienti con neuroblastoma recidivante o refrattario ad alto rischio.

Lo studio prevedeva l’inclusione di pazienti (con età compresa tra 1 e 25 anni) affetti da neuroblastoma recidivato o refrattario ad alto rischio. Obiettivo dello studio era la valutazione della tollerabilità e dell’attività del trattamento con cellule T GD2-CAR T autologhe di terza generazione, con il gene suicida della caspasi 9 inducibile (GD2-CART01).

Complessivamente, sono stati inclusi nello studio 27 bambini con neuroblastoma. I pazienti avevano già ricevuto trattamenti precedenti (12 avevano malattia refrattaria, 14 avevano una malattia recidivante e 1 era in risposta completa al termine della terapia di prima linea).

Dal punto di vista tecnico, la generazione di GD2-CART01 è stata condotta senza problemi tecnici.

Nella fase 1 dello studio, sono stati testati tre livelli di dose (3, 6 e 10 × 106 cellule CAR-T per chilogrammo di peso corporeo). In questa fase, non sono stati registrati effetti tossici inaccettabili dose-limitanti; pertanto, per la fase 2 dello studio è stata considerata come dose raccomandata la dose più elevata tra quelle testate (10×106 cellule CAR-T per chilogrammo).

In molti pazienti (20 su 27 pazienti trattati, pari al 74%) si è verificata la sindrome da rilascio di citochine, che però è stata di lieve entità in 19 pazienti su 20 (95%).

Solo in 1 paziente la tossicità verificatasi era severa (trattata con steroidi e tocilizumab) e ha comportato l’attivazione del gene suicida, allo scopo di ottenere la rapida eliminazione di GD2-CART01 e la risoluzione della tossicità.
Le cellule CAR T dirette contro GD2 si sono espanse in vivo ed erano rilevabili nel sangue periferico della quasi totalità dei pazienti (26 pazienti su 27), fino a 30 mesi dopo l'infusione (persistenza mediana 3 mesi; intervallo, da 1 a 30 mesi).

Dei 27 bambini trattati, 17 hanno avuto una risposta al trattamento (per una proporzione di risposte pari al 63%); nel dettaglio, 9 pazienti hanno avuto una risposta completa e 8 una risposta parziale.

Considerando i pazienti che hanno ricevuto la dose raccomandata, la sopravvivenza globale a 3 anni è risultata pari al 60%, e la sopravvivenza libera da eventi è risultata pari al 36%. Nell’intera popolazione trattata (qualunque dose), la sopravvivenza globale a 3 anni è risultata pari al 40% e la sopravvivenza libera da eventi è risultata pari al 27%.

Tali outcome sono risultati pari rispettivamente al 66% e al 50% nei casi che hanno ottenuto una risposta completa.

Il carico di malattia è risultato un forte fattore prognostico: la sopravvivenza globale a 3 anni è risultata pari al 67% nei casi con basso carico di malattia e 0% nei casi con alto carico di malattia, mentre la sopravvivenza libera da eventi a 3 anni è risultata pari al 58% e 0%, rispettivamente.

Non è così frequente che il NEJM pubblichi i risultati di uno studio accademico, e qualche anno fa sarebbe stato bizzarro vedere su quella rivista i risultati di uno studio di fase 1-2. Ma in questo caso il trattamento sperimentale è sicuramente innovativo, la prognosi della malattia ne fa un rilevante unmet need, e in generale l’attenzione della comunità scientifica per le potenziali applicazioni delle CAR-T in ambito oncologico è elevata.

Gli autori sottolineano che la strategia testata è risultata accettabile dal punto di vista della tossicità, ed ha consentito di ottenere, in una proporzione di pazienti, una risposta completa di lunga durata. Tali risultati, alla luce della prognosi tutt’altro che favorevole della malattia ad alto rischio refrattaria o recidivata, sono sicuramente di grande rilevanza, e non è un caso che abbiano meritato la pubblicazione sul NEJM.

Come giustamente sottolineato nell’editoriale che accompagna la pubblicazione dello studio, i risultati sono rilevanti non solo per l’oncologia pediatrica ma per l’oncologia in generale, in quanto rappresentano una tappa importante nello sviluppo clinico delle CAR-T nei tumori solidi, campo finora abbastanza avaro di risultati concretamente utili per la pratica clinica.