Immunoterapia
Sabato, 11 Aprile 2020

Dagli studi alla pratica clinica: quale beneficio con l'immunoterapia nei pazienti PS2?

A cura di Massimo Di Maio

Uno studio retrospettivo italiano sottolinea che i risultati ottenuti negli studi randomizzati, in pazienti asintomatici o con pochi sintomi, non necessariamente sono riprodotti nei pazienti con PS2. Le scelte terapeutiche, in questa condizione, possono essere molto difficili.

Facchinetti F, Mazzaschi G, Barbieri F, Passiglia F, Mazzoni F, Berardi R, Proto C, Cecere FL, Pilotto S, Scotti V, Rossi S, Del Conte A, Vita E, Bennati C, Ardizzoni A, Cerea G, Migliorino MR, Sala E, Camerini A, Bearz A, De Carlo E, Zanelli F, Guaitoli G, Garassino MC, Ciccone LP, Sartori G, Toschi L, Dall'Olio FG, Landi L, Pizzutilo EG, Bartoli G, Baldessari C, Novello S, Bria E, Cortinovis DL, Rossi G, Rossi A, Banna GL, Camisa R, Di Maio M, Tiseo M. First-line pembrolizumab in advanced non-small cell lung cancer patients with poor performance status. Eur J Cancer. 2020 Mar 25;130:155-167. doi: 10.1016/j.ejca.2020.02.023. [Epub ahead of print] PubMed PMID: 32220780.

La validità esterna dei risultati degli studi è un grande problema metodologico e clinico. Come si applicano i risultati degli studi randomizzati a pazienti che, per varie caratteristiche, non erano inclusi nelle sperimentazioni cliniche che hanno documentato l’efficacia di un trattamento?

La maggior parte degli studi clinici condotti in oncologia consente l’accrual solo di pazienti in buone condizioni generali, quindi asintomatici (ECOG performance status 0) oppure paucisintomatici (ECOG performance status 1). Lo studio che ha dimostrato l’efficacia del trattamento immunoterapico con pembrolizumab come prima linea dei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC) avanzato caratterizzato dall’elevata espressione di PDL1 non fa eccezione. Solo i pazienti con PS 0-1 erano eleggibili.

Peraltro, molti pazienti, nella pratica clinica, si presentano alla diagnosi con sintomi rilevanti e in condizioni generali compromesse. La scelta del trattamento migliore per questi pazienti era un problema già nell’era in cui la chemioterapia era l’unico trattamento disponibile, e rimane un problema importante anche attualmente, nell’era in cui le possibilità terapeutiche si basano anche sull’impiego dell’immunoterapia.

Allo scopo di acquisire informazioni sull’outcome dei pazienti con PS2 trattati con pembrolizumab in questo setting, lo studio GOIRC-2018-01 è stato disegnato come una raccolta multicentrica retrospettiva.

Sono stati inseriti nello studio i pazienti affetti da NSCLC avanzato, con performance status 2, che, sulla base del valore di PDL1 TPS ≥50%, hanno ricevuto trattamento immunoterapico di prima linea con pembrolizumab.

La raccolta ha riguardato i pazienti trattati presso 21 centri italiani nel periodo compreso tra il giugno 2017 e dicembre 2018.

Endpoint primario dello studio era la probabilità di sopravvivenza libera da progressione a 6 mesi. Gli autori, in fase di pianiificazione della raccolta, avevano ipotizzato 3 scenari:

  • uno scenario ottimistico, in cui si ipotizzava che l’outcome dei pazienti potesse essere sovrapponibile a quello dei pazienti con performance status 0-1 dello studio randomizzato (60% libero da progressione a 6 mesi)
  • uno scenario intermedio, in cui si ipotizzava che l’outcome dei pazienti potesse essere sovrapponibile a quello dei pazienti con performance status 2 trattati con la combinazione polichemioterapica di carboplatino e pemetrexed (45% libero da progressione a 6 mesi).
  • uno scenario pessimistico, in cui si ipotizzava che l’outcome dei pazienti potesse essere sovrapponibile a quello dei pazienti con performance status 2 trattati con chemioterapia (pemetrexed) come agente singolo (30% libero da progressione a 6 mesi).

Lo studio ha raccolto i dati relativi a 153 pazienti (con un’età mediana pari a 70 anni).

Dopo un follow-up mediano pari a 18.2 mesi, la sopravvivenza libera da progressione mediana è risultata pari a 2.4 mesi (intervallo di confidenza al 95% 1.6 – 2.5).

La sopravvivenza globale mediana è risultata pari a 3.0 mesi (intervallo di confidenza al 95% 2.4 – 3.5),

La probabilità di essere liberi da progressione a 6 mesi è risultata pari al 27% (intervallo di confidenza al 95% 21% - 35%).

I pazienti sono stati divisi in 2 gruppi sulla base dei determinanti della compromissione del performance status, in particolare separando i pazienti in cui la compromissione del PS era determinata dalle patologie concomitanti (n=41) dai pazienti in cui la compromissione del PS era attribuibile al tumore (n=112).

I pazienti in cui la compromissione del PS era attribuita alle patologie concomitanti hanno evidenziato outcome migliori rispetto ai pazienti in cui la compromissione del PS era attribuita al tumore:

  • La probabilità di sopravvivenza libera da progressione è risultata pari al 49% rispetto al 19%;
  • La sopravvivenza libera da progressione mediana è risultata pari a 5.6 mesi rispetto a 1.8 mesi;
  • La sopravvivenza globale mediana è risultata pari a 11.8 mesi rispetto a 2.8 mesi.

Il risultato complessivo evidenziato nell’analisi è sicuramente deludente: l’aspettativa di vita mediana dei pazienti con performance status 2 che hanno iniziato trattamento con pembrolizumab è stata di circa 3 mesi, quindi assolutamente scadente. Il dato, tra l’altro, è sostanzialmente sovrapponibile all’aspettativa di vita descritta per i pazienti con performance status 2 trattati con la chemioterapia.

Quindi, i dati suggeriscono che il beneficio dimostrato dall’immunoterapia rispetto alla chemioterapia, nei pazienti con buon performance status inseriti nello studio randomizzato, non sia necessariamente riproducibile nei pazienti in condizioni compromesse.

Quali implicazioni per la pratica clinica? Non è mai facile ricavare evidenze solide da raccolte di dati non randomizzati. Peraltro, in una popolazione di pazienti non rappresentati negli studi randomizzati, e prognosticamente molto complessa, l’evidenza di un outcome mediamente tanto sfavorevole impone una riflessione sulla reale opportunità di proporre in tutti i casi il trattamento immunoterapico.

Interessante l’analisi di sottogruppo basata sulla divisione dei pazienti a seconda della causa della compromissione del performance status: le categorie di performance, in particolare i pazienti con PS2, sono sicuramente categorie prognosticamente e clinicamente eterogenee.

I pazienti in condizioni scadute per il tumore sono probabilmente troppo fragili, e con una malattia dall’evoluzione troppo veloce, per ottenere un sensibile beneficio dal trattamento immunoterapico. Visto l’outcome assoluto ottenuto in questi pazienti, bisognerebbe seriamente interrogarsi sulla reale opportunità di proporre il trattamento antitumorale attivo rispetto alla sola terapia di supporto.

Al contrario, i pazienti in cui la compromissione del PS sembra legata non al tumore ma alle patologie concomitanti, avendo mediamente una malattia meno velocemente evolutiva rispetto all’altro gruppo, hanno ragionevolmente una maggiore chance di beneficiarsi del trattamento attivo.

Più recentemente, sulla base dei risultati di altri studi randomizzati, anch’essi peraltro condotti solo in pazienti con buon performance status, la combinazione di chemioterapia e immunoterapia si è dimostrata superiore alla chemioterapia da sola. Va però specificato che, ad oggi, in Italia, l’immunoterapia nei casi con elevata espressione di PDL1 è rimborsata per l’impiego nella pratica clinica solo in mono-terapia, e non in combinazione con la chemioterapia.