Immunoterapia
Sabato, 12 Settembre 2020

Il TMB come fattore predittivo dell’efficacia dell’immunoterapia: bianco, nero o sfumature di grigio?

A cura di Massimo Di Maio

I dati dello studio KEYNOTE-158 evidenziano più risposte, quando si impiega l’immunoterapia, nei casi con TMB elevato. Basta questo dato a supportarne l’introduzione nella pratica clinica? Probabilmente i punti deboli sono almeno pari ai punti di forza.

A Marabelle, M Fakih, J Lopez, et al. Association of tumour mutational burden with outcomes in patients with advanced solid tumours treated with pembrolizumab: prospective biomarker analysis of the multicohort, open-label, phase 2 KEYNOTE-158 study. Lancet Oncol (2020) published online Sept 10.

Negli ultimi anni, numerosi studi, condotti in vari tumori solidi ,hanno esplorato il ruolo predittivo del tumor mutational burden (TMB), vale a dire il “carico” mutazionale del tumore, rispetto all’efficacia del trattamento immunoterapico. Intuitivamente, un elevato numero di mutazioni implica un aumento del numero di neoantigeni e quindi, almeno in linea di principio, un possibile maggior margine di attività dell’immunoterapia nei confronti delle cellule tumorali.

Lo studio KEYNOTE-158 era uno studio di fase 2, senza braccio di controllo, che valutava l’attività del pembrolizumab in pazienti affetti da neoplasia solide avanzate, che avessero già fallito precedenti trattamenti standard. Lo studio prevedeva l’inclusione, in diverse coorti, di vari tipi di tumori solidi, variamente rappresentati nella popolazione finale.

L’analisi appena pubblicata su Lancet Oncology descrive la valutazione prospettica dell’associazione tra il TMB del tessuto tumorale e l’outcome dei pazienti.

I pazienti erano eleggibili se adulti, con una neoplasia avanzata / metastatica, citologicamente o istologicamente confermata. Le 10 coorti (corrispondenti a vari tipi di tumori solidi) prevedevano l’inclusione di tumori dell’ano, tumori delle vie biliari, tumore cervicale, tumore endometriale, mesotelioma, tumori neuroendocrini, tumori delle ghiandole salivari, microcitoma polmonare, tumori della tiroide e tumori della vulva.

Per essere inseriti in studio, i pazienti dovevano aver avuto progressione di malattia (o aver interrotto per intolleranza al trattamento) una o più linee di trattamento standard, con buon performance status (ECOG 0 oppure ECOG 1), aspettativa di visita di almeno 3 mesi, adeguata funzione d’organo e disponibilità del tessuto tumorale per consentire le analisi molecolari.

Il trattamento sperimentale consisteva nella somministrazione di pembrolizumab come agente singolo, alla dose standard di 200 mg ogni 3 settimane, per un massimo di 35 somministrazioni.

L’analisi del TMB tissutale è stata realizzata, su campioni standard (fissati in formalina e conservati in paraffina), impiegando il test FoundationOne CDx Foundation Medicine, Cambridge, MA, USA). I campioni sono stati classificati come TMB elevato e TMB non elevato sulla base di un cutoff predefinito pari a 10 mutazioni per database.

Endpoint primario dello studio era la proporzione di pazienti con risposta obiettiva (completa o parziale) secondo i criteri RECIST (versione 1.1), sulla base di una valutazione indipendente centralizzata.

Nello studio sono stati complessivamente inseriti 1073 pazienti, nel periodo compreso tra gennaio 2016 e giugno 2019.
Al momento dell’analisi (condotta a giugno 2019), 805 pazienti (pari al 76% della casistica complessiva) erano valutabili per il TMB. Nel dettaglio, 105 pazienti (13%) avevano un TMB elevato secondo il cutoff adottato, vale a dire almeno 10 mutazioni per megabase.

Le analisi sono state condotte sui pazienti che fossero stati inseriti in studio almeno 26 settimane prima dell’analisi, per la precisione 790 pazienti valutabili per il TMB, dei quali 102 (pari al 13%) avevano un TMB elevato e i rimanenti 688 (pari all’87%) erano nel gruppo a TMB non alto (meno di 10 mutazioni per megabase).

La proporzione di risposte obiettive è risultata pari al 29% (30 pazienti su 102, intervallo di confidenza al 95% 21-39) nel gruppo di casi con elevato TMB, e pari al 6% (43 pazienti su 688, intervallo di confidenza al 95% 5-8), nel gruppo di casi con TMB non elevato.

La sopravvivenza libera da progressione mediana è risultata pari a 2.1 mesi sia nel gruppo di pazienti con TMB elevato sia nel gruppo di pazienti con TMB non elevato. Peraltro, la probabilità di essere liberi da progressione a 1 anno dall’inizio del trattamento è risultata pari al 26% vs 13%, a 2 anni pari al 22% vs 7%, rispettivamente nei pazienti con TMB elevato e nei pazienti con TMB non elevato.

La sopravvivenza mediana è risultata pari a 11.7 mesi nel gruppo di pazienti con TMB elevato vs 12.8 mesi nel gruppo di pazienti con TMB non elevato. La probabilità di essere vivi a 1 anno dall’inizio del trattamento è risultata pari al 50% vs 51%, a 2 anni pari al 34% vs 30%, a 3 anni pari a 32% vs 22%, rispettivamente nei pazienti con TMB elevato e nei pazienti con TMB non elevato.

Considerando il gruppo di pazienti con TMB elevato, il 10% ha avuto eventi avversi seri collegati al trattamento. Il 15% ha presentato un evento avverso collegato al trattamento di grado 3 o superiore (dei quali, 1 caso di polmonite con esito letale).

 

Sulla base dei risultati sopra sintetizzati, gli autori concludono che il TMB elevato è in grado di selezionare un sottogruppo di pazienti che possono ottenere una “robusta” (aggettivo usato dagli autori riferendosi alla percentuale di risposte e alla loro durata) risposta obiettiva quando trattati con pembrolizumab in monoterapia. Di conseguenza, continuano gli autori, il TMB può rappresentare un biomarker predittivo utile per predire la risposta al pembrolizumab, in pazienti che abbiano già fallito altri trattamenti per una neoplasia solida avanzata.

Negli ultimi anni, numerose analisi hanno provato a valutare la “solidità” del TMB come biomarker predittivo per l’attività e l’efficacia dell’immunoterapia, in vari tipi di tumori. Ad oggi, pur in presenza di alcuni risultati suggestivi di interazione significativa (nella direzione della maggior attività e maggior efficacia dell’immunoterapia nel gruppo di pazienti con TMB più elevato), la determinazione del TMB non è impiegata nella pratica clinica in nessuno dei tipi di tumori in cui tale biomarker è stato sperimentato.

Come spesso accade quando si lavora con un biomarker non categorico come può essere (peraltro anche qui semplificando) la presenza / assenza di una specifica mutazione, ma con un biomarker continuo come il numero delle mutazioni, la scelta del cutoff è oggetto di ampio dibattito scientifico. Non siamo di fronte a un fenomeno “bianco vs nero”, e ogni cutoff può essere ampiamente criticabile, specialmente quando non è in grado di garantire un potere predittivo ottimale, né in termini negativi né in termini positivi. In questo caso, il potere predittivo negativo del basso TMB è abbastanza buono (le risposte obiettive sono presenti, ma solo nel 6% dei pazienti), ma è necessario sottolineare che, di contro, il potere predittivo positivo del TMB alto rimane lontano dall’ottimale (le risposte obiettive nel sottogruppo con TMB elevato non superano il 30%).

Un altro aspetto importante da sottolineare è che la descrizione del ruolo predittivo del TMB nello studio è basata essenzialmente sulla risposta obiettiva, con tutti i limiti di tale endpoint rispetto a endpoint di efficacia come la sopravvivenza globale. L’outcome mediano della casistica con TMB elevato (sia in termini di PFS che in termini di sopravvivenza globale) non è particolarmente entusiasmante, e come frequentemente accaduto negli studi di immunoterapia, si cerca nella parte destra e nella “coda” della curva la possibilità di prospettare un lungo controllo di malattia e un outcome favorevole almeno in una minoranza dei pazienti.

Pur con questi limiti, nel giugno 2020 la Food and Drug Administration ha approvato (accelerated approval) il pembrolizumab per il trattamento di pazienti sia adulti che pediatrici affetti da tumori solidi avanzati con TMB elevato (almeno 10 mutazioni per megabase), se in progressione con almeno una linea di precedente trattamento e in assenza di valide alternative terapeutiche.

Decisione giusta? Decisione “debole”? Nel prossimo futuro probabilmente avremo più evidenze per capire che ruolo reale possa avere il TMB come fattore predittivo per l’impiego della chemioterapia… Al momento, probabilmente, i punti poco chiari sono di più dei punti fermi.