Immunoterapia
Sabato, 11 Gennaio 2020

Quando la tossicità dell'immunoterapia predice una migliore efficacia…

A cura di Massimo Di Maio

Un’interessante analisi secondaria dello studio randomizzato che ha documentato l’efficacia di pembrolizumab adiuvante nel melanoma evidenzia una forte associazione tra l’insorgenza di eventi avversi immuno-relati e l’efficacia del trattamento.

Eggermont AMM, Kicinski M, Blank CU, et al. Association Between Immune-Related Adverse Events and Recurrence-Free Survival Among Patients With Stage III Melanoma Randomized to Receive Pembrolizumab or Placebo: A Secondary Analysis of a Randomized Clinical Trial. JAMA Oncol. Published online January 02, 2020. 

Negli ultimi anni l’immunoterapia ha visto un crescente numero di indicazioni terapeutiche, e gli eventi avversi immuno-relati sono diventati un’evenienza comune nella pratica clinica oncologica. Oltre a rappresentare un evento avverso, che spesso richiede interruzione temporanea o definitiva del trattamento, nonché terapia specifica immunosoppressiva, le tossicità immuno-relate sono manifestazione clinica dell’attivazione del sistema immunitario del paziente. Da questo punto di vista, è legittimo ipotizzare un’associazione tra la tossicità e l’efficacia del trattamento. Tale associazione tra tossicità ed efficacia è stata già studiata, e descritta, per molti altri farmaci, anche nell’era della chemioterapia e dei farmaci a bersaglio molecolare. Basti pensare alle descrizioni di associazione tra la neutropenia indotta dalla chemioterapia e l’efficacia del trattamento, in vari tipi di tumori solidi, oppure alla descrizione di associazione tra alcune tossicità e l’efficacia dei farmaci a bersaglio molecolare (ad esempio, l’ipertensione nel caso dei farmaci antiangiogenici o la tossicità cutanea nel caso dei farmaci anti-EGFR).

Allo scopo di descrivere l’associazione tra la insorgenza di eventi avversi immuno-relati e l’efficacia dell’immunoterapia, gli autori dell’analisi appena pubblicata su JAMA Oncology hanno lavorato sui dati dello studio randomizzato EORTC 1325/KEYNOTE-054, che confrontava pembrolizumab a placebo come terapia adiuvante dei pazienti con melanoma ad elevato rischio di recidiva.

Lo studio prevedeva che pazienti con melanoma in stadio III venissero assegnati dalla randomizzazione, in rapporto 1:1, a ricevere pembrolizumab oppure placebo.

I pazienti assegnati al braccio sperimentale ricevevano pembrolizumab alla dose di 200 mg ogni 3 settimane, per un totale di 18 somministrazioni (pari a circa 1 anno) oppure interrompevano in caso di recidiva di malattia o tossicità inaccettabile.

Gli autori hanno studiato l’associazione tra insorgenza di eventi avversi immuno-relati e outcome (in particolare, sopravvivenza libera da recidiva, RFS), impiegando un’analisi multivariata corretta per sesso, età e per stadio. Nel modello multivariato, la tossicità immuno-relata è stata inserita come variabile tempo-dipendente.

In pratica, mentre con le normali variabili i pazienti sono classificati in gruppi sulla base dello stato di quella variabile al basale (es. i pazienti sono divisi in maschi e femmine, oppure sono divisi in stadio IIIA, IIIB o IIIC), nel caso di una variabile tempo-dipendente, il medesimo paziente in momenti diversi “ricade” in gruppi diversi. In altre parole, un paziente che non abbia eventi avversi immuno-relati nel corso del trattamento “ricade” per tutta la sua storia dal momento della randomizzazione nel gruppo “senza tossicità”. Al contrario, un paziente che dopo 3 mesi di trattamento abbia un evento immuno-relato (e in quel momento sia libero da recidiva) ricade per i primi 3 mesi nel gruppo senza tossicità, e dal momento della comparsa dell’evento viene troncato (senza recidiva) in quel gruppo, e ricade nel gruppo “con tossicità”, con un’osservazione che parte dal momento della comparsa della tossicità.

Complessivamente, 1011 pazienti randomizzati hanno iniziato il trattamento con il pembrolizumab (braccio sperimentale) oppure con il placebo (braccio di controllo). Il risultato complessivo del confronto tra bracci in questa popolazione è sovrapponibile al risultato già riportato nell’analisi principale (nella popolazione intention-to-treat) dello studio, con un vantaggio significativo a favore di pembrolizumab in termini di RFS (hazard ratio [HR], 0.56; intervallo di confidenza al 98.4% 0.43-0.74).

L’incidenza di eventi avversi immuno-relati (irAE) è risultata pari al 37.4% dei pazienti nel braccio trattato con pembrolizumab (190 eventi sui 509 pazienti) e pari al 9.0% nel braccio trattato con placebo (45 eventi su 502 pazienti). In ciascuno dei due bracci, non si sono osservate differenze significative nell’incidenza di eventi avversi immuno-relati tra maschi e femmine.
Si è descritta un’associazione tra l’incidenza di qualsiasi tipo di evento avverso immuno-relato e una migliore RFS (Hazard Ratio 0.61; intervallo di confidenza al 95% 0.39 - 0.95; P = 0.03), sia nei maschi che nelle femmine. L’associazione è risultata statisticamente significativa nel braccio sperimentale.

Il vantaggio di pembrolizumab rispetto a placebo è risultato maggiore dopo l’insorgenza di un evento avverso immuno-relato.

Nel dettaglio:

  • l’Hazard Ratio di pembrolizumab vs placebo nei pazienti in cui l’evento avverso immuno-relato si è verificato è risultato pari a 0.37 (intervallo di confidenza al 95% 0.24-0.57);
  • l’Hazard Ratio di pembrolizumab vs placebo nei pazienti in cui l’evento avverso non si è verificato o (in quelli che l’hanno avuto) nel periodo precedente l’insorgenza dell’evento è risultato pari a 0.61 (intervallo di confidenza al 95% 0.49-0.77.

Sulla base dei risultati sopra riassunti, gli autori concludono che, analogamente ad altri studi condotti con altri farmaci immunoterapici e in altri setting, si descrive un’associazione positiva tra l’insorgenza di eventi avversi immuno-relati (“prova” dell’attivazione del sistema immunitario da parte del trattamento farmacologico) e l’efficacia del medesimo trattamento.

Analisi di questo tipo presentano, naturalmente, notevoli rischi di bias, in quanto la comparsa di un evento avverso, a meno che non si verifichi immancabilmente immediatamente dopo l’inizio del trattamento, è per definizione più frequente in chi riceve il trattamento più a lungo. Quindi il semplice confronto tra il gruppo di pazienti che, in un qualunque momento di trattamento, ha avuto una tossicità, e il gruppo di pazienti che non l’ha mai avuta includerebbe in quest’ultimo la maggior parte dei fallimenti precoci (che “non hanno avuto il tempo” di avere tossicità), e sarebbe quindi viziato da bias. Gli autori, per ovviare a questo problema, hanno correttamente analizzato la comparsa dell’evento tossico come evento tempo-dipendente, e quindi dal punto di vista metodologico l’analisi si può considerare ben condotta.

L’associazione tra le tossicità e l’efficacia è stata, nel corso degli anni, ripetutamente analizzata e spesso riscontrata in vari setting, sia nel caso dei trattamenti chemioterapici, sia nel caso dei farmaci a bersaglio molecolare, e più recentemente con l’immunoterapia. Con vari farmaci, in passato, si è anche esplorata una possibile ricaduta “operativa” per il trattamento, con alcuni studi che hanno provato a incrementare la dose del trattamento in caso di assenza di tossicità.

Nel caso del setting (melanoma operato) e del tipo di trattamento (immunoterapia) analizzati nel presente studio, quali sono le conseguenze pratiche? Sul piano “operativo”, praticamente nessuna. Sul piano pratico, probabilmente, l’informazione può essere condivisa con i pazienti che sviluppano uno o più eventi avversi nel corso del trattamento, interpretando la comparsa di tali eventi come un evento potenzialmente “positivo” dal punto di vista dell’efficacia del trattamento.