Immunoterapia
Sabato, 01 Aprile 2017

L’efficacia dell’immunoterapia: è anche questione di dose?

A cura di Massimo Di Maio

Uno studio randomizzato dimostra che una dose più alta di ipilimumab, anche se più tossica, comporta miglior sopravvivenza nel melanoma avanzato… Insomma, anche con l’immunoterapia la dose conta, ed è bene tenerlo presente nello sviluppo dei farmaci.

Paolo A Ascierto, Michele Del Vecchio, Caroline Robert, Andrzej Mackiewicz, Vanna Chiarion-Sileni, Ana Arance, Céleste Lebbé, Lars Bastholt, Omid Hamid, Piotr Rutkowski, Catriona McNeil, Claus Garbe, Carmen Loquai, Brigitte Dreno, Luc Thomas, Jean-Jacques Grob, Gabriella Liszkay, Marta Nyakas, Ralf Gutzmer, Joanna Pikiel, Florent Grange, et al. Ipilimumab 10 mg/kg versus ipilimumab 3 mg/kg in patients with unresectable or metastatic melanoma: a randomised, double-blind, multicentre, phase 3 trial. The Lancet Oncology, Available online 27 March 2017

Ipilimumab ha rappresentato il primo farmaco immunoterapico di nuova generazione a documentare efficacia nel trattamento dei pazienti affetti da melanoma avanzato, ed è stato approvato alla dose di 3 mg/kg.

La dose più elevata, 10 mg/kg, è stata invece impiegata nello studio randomizzato che ha dimostrato l’efficacia del farmaco come trattamento adiuvante, ma non è approvata per il trattamento della malattia avanzata.

Negli ultimi anni, è stato spesso sottolineato che il classico modello degli studi di fase I non è applicabile ai farmaci immunoterapici, in quanto per questi ultimi non è chiara un’associazione tra dose e risposta, come nel caso della classica chemioterapia. Tale convinzione è messa alla prova dai risultati dello studio randomizzato recentemente pubblicato su Lancet Oncology.

Lo studio randomizzato di fase III, a primo nome Paolo Ascierto, ha infatti confrontato 2 diverse dosi di ipilimumab nei pazienti affetti da melanoma avanzato, nell'ipotesi che la dose maggiore, pur se al prevedibile prezzo di più frequenti e severi effetti collaterali, potesse migliorare l'efficacia.

I pazienti assegnati al braccio di controllo ricevevano ipilimumab alla dose standard di 3 mg/kg.

I pazienti assegnati al braccio sperimentale ricevevano ipilimumab alla dose di 10 mg/kg.

Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza globale.

Lo studio è stato condotto in 87 centri di 21 nazioni. Complessivamente, nel 2012, sono stati arruolati 727 pazienti. La metà dei pazienti aveva ricevuto altri trattamenti, ma non inibitori di BRAF, né inibitori di PD1.

La sopravvivenza mediana è risultata significativamente più lunga (con una differenza di circa 4 mesi) a vantaggio della dose più alta rispetto alla dose "standard" di 3 mg/kg. La sopravvivenza mediana è risultata pari a 15.7 mesi con ipilimumab 10 mg/kg, rispetto a 11.5 mesi con ipilimumab 3 mg/kg (hazard ratio 0.84, intervallo di confidenza al 95% 0.70 – 0.99; p=0.04).

La sopravvivenza a 3 anni è risultata pari al 31.2% con la dose più alta, rispetto al 23.2% con la dose più bassa.

L’analisi degli eventi avversi ha evidenziato un prevedibile incremento della tossicità severa, con un raddoppio (37% vs 18%) degli eventi avversi severi associati al trattamento. Gli eventi avversi di grado severo più comuni sono stati la diarrea (10% con la dose più alta e 6% con la dose standard), la colite (5% vs 2%), l’incremento dell’ALT (3% vs 1%), l’ipofisite (3% vs 2%).

Lo studio randomizzato appena pubblicato su Lancet Oncology documenta che, anche con i farmaci immuno-terapici di nuova generazione, la dose può avere un impatto significativo sull'efficacia del trattamento.

Nelle conclusioni dell'articolo, gli autori sottolineano un concetto importante per l’applicabilità del risultato, ovvero che la ricaduta clinica è necessariamente condizionata dalle modifiche recentemente avvenute nella pratica clinica rispetto a quando lo studio è stato disegnato, in quanto altri trattamenti si sono dimostrati più efficaci dell'ipilimumab, e quindi il braccio di controllo dello studio randomizzato può essere criticato in quanto non corrisponde, oggi, al miglior trattamento disponibile di prima linea. Lo stesso concetto è ribadito anche nell’editoriale che accompagna la pubblicazione dell’articolo.

Ulteriori studi consentiranno di chiarire le implicazioni del risultato dello studio di Ascierto e colleghi, in termini di impiego di ipilimumab in pazienti che, a differenza della popolazione in studio, siano stati già trattati con altri farmaci di nuova generazione, nonché l’implicazione in termini di dose di ipilimumab da impiegare nelle combinazioni (ovviamente tenendo conto del ruolo limitante della tossicità).