Immunoterapia
Sabato, 13 Luglio 2019

Il trattamento locale è in grado di potenziare l’attività dell’immunoterapia?

A cura di Massimo Di Maio

Due studi di fase II, pubblicati simultaneamente su JAMA Oncology, hanno testato la combinazione di trattamento locale (come la radioterapia stereotassica) e immunoterapia in pazienti con carcinoma polmonare avanzato. L’interesse per la potenziale sinergia rimane alto.

Theelen WSME, Peulen HMU, Lalezari F, et al. Effect of Pembrolizumab After Stereotactic Body Radiotherapy vs Pembrolizumab Alone on Tumor Response in Patients With Advanced Non–Small Cell Lung Cancer: Results of the PEMBRO-RT Phase 2 Randomized Clinical Trial. JAMA Oncol. Published online July 11, 2019. doi:10.1001/jamaoncol.2019.1478

Bauml JM, Mick R, Ciunci C, et al. Pembrolizumab After Completion of Locally Ablative Therapy for Oligometastatic Non–Small Cell Lung Cancer: A Phase 2 Trial. JAMA Oncol. Published online July 11, 2019. doi:10.1001/jamaoncol.2019.1449

Come è ben noto, l’immunoterapia ha uno spazio importante nel trattamento attuale del tumore del polmone non a piccole cellule (non-small cell lung cancer, NSCLC) avanzato. Ad oggi, in attesa dell’ingresso nella routine clinica delle combinazioni di chemioterapia e immunoterapia, questi farmaci sono stati somministrati in monoterapia. E’ esperienza comune che alcuni pazienti mostrano resistenza al trattamento con immunoterapia, e la ricerca si è concentrata su strategie sperimentali che possano incrementarne l’efficacia.

Numerose evidenze suggeriscono che la radioterapia, provocando il rilascio degli antigeni tumorali, con il conseguente miglioramento nella presentazione degli antigeni al sistema immunitario, possa migliorare l’efficacia del trattamento immunoterapico. In analisi retrospettive, ad esempio, è stata evidenziata una possibile migliore efficacia dell’immunoterapia nei pazienti che, per ragioni cliniche, avessero precedentemente ricevuto un trattamento radioterapico. Di conseguenza, sono stati disegnati e condotti vari studi clinici in cui la somministrazione dell’immunoterapia è preceduta dal trattamento locale.

Il razionale di tali studi si basa, innanzitutto, sulla teorica opportunità di combinare un trattamento sistemico con un trattamento locale. Tale opportunità è stata in realtà esplorata in numerosi contesti oncologici, e risulta particolarmente intrigante quando si è in pesenza di malattia oligo-metastatica, il che lascia ipotizzare che il controllo locale possa impattare nettamente sulla prognosi complessiva.

In aggiunta - come detto - a tale razionale “generale” (che si applica bene a qualunque trattamento sistemico), nel caso dell’immunoterapia il valore aggiunto del trattamento locale (e della radioterapia in particolare) sarebbe quello di migliorare la sensibilità del tumore alla stimolazione del sistema immunitario.

Sono stati pubblicati da JAMA Oncology 2 studi di fase 2 dedicati proprio alla combinazione di trattamento locale e immunoterapia nei pazienti con NSCLC avanzato.

Lo studio PEMBRO-RT è stato disegnato come studio di fase 2, multicentrico, randomizzato. Non era prevista selezione dei pazienti sulla base del livello di espressione di PD-L1.

I pazienti assegnati al braccio sperimentale ricevevano pembrolizumab da solo, alla dose di 200 mg ogni 3 settimane, dopo la radioterapia (3 dosi di 8 Gy) su una singola sede di malattia, mentre i pazienti assegnati al braccio di controllo ricevevano il pembrolizmab da solo. In entrambi i bracci, era previsto che il trattamento immunoterapico continuasse fino a progressione confermata, a tossicità inaccettabile o per un massimo di 24 mesi.

Lo studio era disegnato ipotizzando di osservare un miglioramento nella proporzione di risposte obiettive (objective response rate, ORR) a 12 settimane dal 20% nel braccio di controllo, al 50% nel braccio sperimentale.

Al contrario, lo studio di Bauml e colleghi è stato disegnato per valutare se la somministrazione di pembrolizumab dopo un trattamento locale (chirurgia o radioterapia stereotassica) sia in grado di migliorare l’outcome dei pazienti con NSCLC oligometastatico.

Lo studio è stato disegnato come fase II a singolo braccio, ed ha visto il trattamento di pazienti tra il 2015 e il 2017. Per essere eleggibili, i pazienti dovevano avere malattia oligometastatica (numero di siti di malattia inferiore o uguale a 4), e aver completato il trattamento locale su tutte le sedi note di malattia. Da 4 a 12 settimane dopo il completamento del trattamento locale, i pazienti ricevevano pembrolizumab alla dose standard di 200 mg ogni 3 settimane, per 8 cicli, potenzialmente continuando fino a 16 cicli in assenza di progressione o di tossicità inaccettabile.

Endpoint primari erano la sopravvivenza libera da progressione (progression-free survival, PFS) calcolata dall’ inizio del trattamento locale (PFS-L), e la PFS calcolata dal momento dell’inizio della somministrazione di pembrolizumab (PFS-P). Essendo a braccio singolo, lo studio era dimensionato sulla base di un confronto storico. Endpoint secondari erano la sopravvivenza globale, la sicurezza del trattamento e la qualità di vita, misurata mediante il questionario FACT-L.

Complessivamente, lo studio PEMBRO-RT ha visto la randomizzazione di 76 pazienti, dei quali 40 assegnati al braccio di controllo (pembrolizumab da solo) e 36 assegnati al braccio sperimentale (RT su una sede di malattia seguita da pembrolizumab).

La proporzione di risposte obiettive è risultata 18% nel braccio di controllo, e 36% nel braccio sperimentale (p= 0.07).

La sopravvivenza libera da progressione mediana è risultata pari a 1.9 mesi nel braccio di controllo e 6.6 mesi nel braccio sperimentale (hazard ratio 0.71, intervallo di confidenza al 95% 0.42 – 1.18, p=0.19).

La sopravvivenza globale mediana è risultata pari a 7.6 mesi nel braccio di controllo e 15.9 mesi nel braccio sperimentale (hazard ratio 0.66, intervallo di confidenza al 95% 0.37 – 1.18, p=0.16).

Le analisi di sottogruppo, sia di PFS che OS, suggeriscono un maggior beneficio dalla combinazione di RT e pembrolizumab, rispetto alla sola immunoterapia, nei casi negativi per espressione di PD-L1. Nel dettaglio, nei casi PD-L1 negativi si è osservato Hazard Ratio di PFS 0.49 (intervallo di confidenza al 95% 0.26 - 0.94, p = 0.03), mentre nei casi PD-L1 positivi si è osservato Hazard Ratio di PFS 1.14 (intervallo di confidenza al 95% 0.45 - 2.89, p = 0.79). Molto simili i risultati delle analisi di sottogruppo in termini di sopravvivenza globale: nei casi PD-L1 negativi si è osservato Hazard Ratio di OS 0.48 (intervallo di confidenza al 95% 0.24 - 0.99 p = 0.046), mentre nei casi PD-L1 positivi si è osservato Hazard Ratio 1.4 (intervallo di confidenza al 95% 0.42 - 4.66, p = 0.58).

La somministrazione di pembrolizumab nel braccio sperimentale non è risultata associata a un significativo incremento delle tossicità rispetto al braccio di controllo.

Lo studio a braccio singolo di Bauml ha visto l’inserimento di 51 pazienti, dei quali 45 hanno ricevuto il trattamento sperimentale. Al momento dell’analisi, un evento per l’analisi di PFS (progressione o morte in assenza di progressione) si era verificato in 24 pazienti.
La PFS-L mediana è risultata pari a 19.1 mesi (intervallo di confidenza al 95% 9.4 - 28.7 mesi), che è quindi risultata significativamente migliore rispetto alla PFS del controllo storico (6.6 mesi, p = 0.005).
La PFS-P (dall’inizio del pembrolizumab) è risultata pari a 18.7 mesi (intervallo di confidenza al 95% 10.1 - 27.1 mesi).

Al momento dell’analisi, con 11 decessi registrati, la probabilità di sopravvivenza globale ad 1 anno è risultata pari al 90.9%, mentre la probabilità di sopravvivenza a 2 anni è risultata pari a 77.5%.

La tossicità del trattamento con pembrolizumab è risultata coerente con l’atteso, e l’analisi di qualità di vita, per quanto limitata dall’assenza di un gruppo di controllo, è risultata favorevole, senza compromissione della qualità di vita nel corso del trattamento.

La pubblicazione simultanea dei 2 studi sulle pagine di JAMA Oncology ribadisce l’interesse crescente per la combinazione di immunoterapia e radioterapia nel trattamento del tumore del polmone. I due studi, peraltro, differiscono nettamente tra loro non solo per il disegno (randomizzato uno, a singolo braccio l’altro), ma anche per la selezione dei pazienti e per la strategia di trattamento locale (praticato su una sola sede, in un caso, al solo scopo di potenziare l’effetto del trattamento sistemico, oppure praticato su tutte le sedi note di malattia oligo-metastatica).

Gli autori dello studio di fase II randomizzato sottolineano che, nonostante il promettente risultato in termini di risposte obiettive (praticamente raddoppiate rispetto all’immunoterapia da sola), il risultato non è da considerare formalmente positivo, in quanto non ha raggiunto l’ambiziosa percentuale di risposte obiettive ipotizzata in fase di dimensionamento dello studio. Molto interessante, in ogni caso, l’analisi relativa all’interazione tra l’efficacia del trattamento e l’espressione di PD-L1: apparentemente, sono proprio i tumori negativi per espressione di PD-L1 (vale a dire quelli nei quali, pur con tutti i limiti del biomarker, è più incerto il beneficio assoluto del trattamento immunoterapico), a beneficiarsi maggiormente dell’aggiunta del trattamento locale all’immunoterapia, suggerendo che la radioterapia possa effettivamente svolgere un ruolo importante nello “scatenare” la risposta all’immunoterapia.

Naturalmente, nessuno dei 2 studi produce un risultato definitivo, né era stato disegnato per produrlo.

Negli ultimi anni, il forte razionale per la combinazione del trattamento locale e del trattamento immunoterapico ha favorito la conduzione di studi prospettici multi-disciplinari, e questo rappresenta di per sé un punto di forza, in quanto in passato tale tipo di studi è stato spesso mancante, o condotto con grande difficoltà. Quindi, pur con i limiti di uno studio randomizzato formalmente negativo e di uno studio di fase II basato esplicitamente su un confronto storico, le due pubblicazioni hanno il merito di aggiungere dei tasselli importanti al capitolo dei trattamenti di combinazione.