Immunoterapia
Sabato, 24 Agosto 2019

La ricerca dei fattori predittivi di risposta all’immunoterapia: missione possibile?

A cura di Massimo Di Maio

Un’interessante analisi del database del Cancer Genome Atlas ha consentito di descrivere i più importanti fattori predittivi di risposta all’immunoterapia: sul podio, la presenza di cellule T CD8+, il tumor mutational burden e l’espressione del gene PD1.

Lee JS, Ruppin E. Multiomics Prediction of Response Rates to Therapies to Inhibit Programmed Cell Death 1 and Programmed Cell Death 1 Ligand 1. JAMA Oncol. Published online August 22, 2019. doi:10.1001/jamaoncol.2019.2311

Negli ultimi anni, l’impiego dei farmaci immune checkpoint inhibitors è diventato trattamento standard in numerosi tipi di tumori, e la lista delle neoplasia per le quali questi farmaci sono parte della pratica clinica è destinata a crescere ulteriormente.

Peraltro, a differenza di alcuni farmaci a bersaglio molecolare, la predittività positiva (vale a dire la capacità di selezionare i pazienti che risponderanno al trattamento) e la predittività negativa (vale a dire la capacità di identificare a priori i pazienti che NON risponderanno al trattamento) sono abbastanza limitate. Nell’era della medicina di precisione, è evidente che molta speranza sia riposta nella capacità di identificare fattori predittivi di efficacia, sia positivi che negativi. 

L’espressione di PDL1 è stato il parametro più studiato finora, impiegato come criterio di selezione in numerosi studi clinici. Tale parametro ha spesso evidenziato una correlazione, peraltro subottimale, con la chance di risposta, ma non è sicuramente il parametro che da solo riesce a garantire una selezione ottimale dei pazienti. Più recentemente, il tumor mutational burden, sulla base di un ovvio razionale, è stato molto studiato nel tentativo di identificare una chiara interazione tra l’elevato carico mutazionale e la sensibilità del tumore alla stimolazione del sistema immunitario.

In questo scenario, la ricerca dei fattori predittivi rimane argomento di grande appeal. Sulle pagine di JAMA Oncology è stata recentemente pubblicata un’interessante analisi di “multi-omics”, basata sui dati molecolari di pazienti inseriti nel database Cancer Genome Atlas, che, correlando tali dati con la chance di risposta attesa in ciascun tipo di tumore, ha provato a descrivere i più importanti fattori associati alla chance di attività del trattamento.

L’analisi ha preso in considerazione i dati di sequenziamento “whole-exome” e di sequenziamento di RNA di 7187 pazienti inseriti nel registro Cancer Genome Atlas. I risultati molecolari sono stati correlati con la proporzione di risposta obiettiva attesa con l’immunoterapia in ciascun tipo di tumore.
L’analisi ha preso in considerazione complessivamente 36 variabili, riconducibili a 3 classi:

  • Neoantigeni tumorali
  • Microambiente tumorale e infiammazione
  • Target dei checkpoint

I dati sono stati raccolti ad Ottobre 2018 ed analizzati tra novembre e dicembre 2018.

Endpoint primario dell’analisi era la correlazione tra i parametri molecolari e la proporzione di risposte obiettive attese nei vari tipi di tumore.

Nel totale della casistica esaminata, comprendente pazienti con 21 tipi di tumori differenti, delle 36 variabili esaminate, il livello di cellule T CD8+ è risultato il parametro associate alla maggiore predittività di risposta all’immunoterapia (Spearman R = 0.72; p < 2.3 × 10−4).

Sul secondo gradino del podio, si è piazzato il tumor mutational burden (Spearman R = 0.68; p < 6.2 × 10−4).

Sul terzo gradino del podio, si è classificata la frazione di campioni con elevata espressione del gene PD1 (Spearman R = 0.68; p < 6.9 × 10−4).

La combinazione delle suddette 3 variabili (livello di cellule T CD8+, espressione del gene PD1 e tumor mutational burden), è risultata fortemente correlate alla chance di risposta obiettiva (Spearman R = 0.90; p < 4.1 × 10−8), in grado di spiegare più dell’80% della variabilità delle risposte obiettive tra i diversi tipi di tumore.

E’ interessante notare che i 3 parametri più correlati alla chance di risposta obiettiva nei pazienti trattati con immunoterapia appartengono, 1 per categoria, alle 3 “macro-categorie” nelle quali gli autori avevano classificato tutti i parametri studiati: il tumor mutational burden per quanto riguarda la categoria dei neoantigeni tumorali, le cellule T CD8+ per quanto riguarda il microambiente tumorale e l’infiammazione, e l’espressione del gene PD1 per quanto riguarda i target del trattamento immunoterapico.

Tale dato conferma quello che in questi ultimi anni è emerso come probabile interpretazione di molti studi: è improbabile che 1 singolo parametro possa spiegare da solo tutta la variabilità di risposta al trattamento immunoterapico, e tipicamente tale risposta può essere variamente influenzata da più fattori.

Non a caso, la combinazione di 3 fattori (similmente a quanto descritto qualche anno fa da Rosenberg nelle analisi condotte nei pazienti con tumori uroteliali, anche se in quel caso i parametri considerati erano diversi) è associata a una migliore predittività rispetto ai fattori presi singolarmente.

Gli autori sottolineano comunque che la predittività dei singoli fattori varia a seconda del tipo di tumore primitivo preso in considerazione, e anche questo rappresenta un elemento di complessità tutt’altro che trascurabile.

Il lavoro ha il limite di basarsi sul tentativo di correlazione indiretta tra le analisi molecolari e la chance di risposta obiettiva (misurata non come dato del singolo paziente ma come probabilità attesa nei vari tipi di tumore). Peraltro, il dato è interessante perché conferma la complessità dell’argomento, e lascia ipotizzare che una caratterizzazione “multi-omics” potrà in futuro aumentare la nostra capacità di selezione sia positiva che negativa dei pazienti da candidare al trattamento immunoterapico.