Immunoterapia
Sabato, 21 Maggio 2022

Quando il paziente si sente stanco: è colpa della malattia o è un effetto collaterale della terapia?

A cura di Massimo Di Maio

Una metanalisi descrive l’incidenza di fatigue nei pazienti in trattamento immunoterapico: un evento avverso che potenzialmente impatta sulla qualità di vita e sull’attività quotidiana, che spesso riconosce più cause legate non solo alla terapia ma anche alla malattia, e per il quale ci sono pochi rimedi efficaci.

Kiss I, Kuhn M, Hrusak K, Buchler T. Incidence of fatigue associated with immune checkpoint inhibitors in patients with cancer: a meta-analysis. ESMO Open. 2022 May 13;7(3):100474. doi: 10.1016/j.esmoop.2022.100474. Epub ahead of print. PMID: 35576697.

La fatigue è sicuramente un sintomo molto comune nei pazienti oncologici, e pur essendo un effetto collaterale tipicamente attribuito alla chemioterapia in questi anni caratterizzati dall’esplosione di indicazioni per i farmaci immunoterapici abbiamo imparato ad osservarla spesso anche in pazienti sottoposti ad immunoterapia.

Proprio allo scopo di quantificare l’incidenza della fatigue nei pazienti sottoposti ad immunoterapia, sia da sola che in combinazione, gli autori dell’analisi recentemente pubblicata da ESMO Open hanno condotto una revisione sistematica con metanalisi della letteratura.

Sono stati presi in considerazione, mediante una ricerca condotta su PubMed e ClinicalTrials.gov, gli studi randomizzati di fase III che prevedessero la somministrazione di un farmaco immunoterapico da solo oppure in combinazione con la chemioterapia, oppure in combinazione con farmaci a bersaglio molecolare.

Allo scopo di quantificare il rischio associato all’immunoterapia, gli studi dovevano avere un braccio di controllo trattato con sola terapia di supporto (o placebo o osservazione), chemioterapia oppure terapia a bersaglio molecolare.
L’informazione sull’incidenza di fatigue (di qualsiasi grado vs assente) è stata recuperate dalle pubblicazioni dei lavori.

Gli autori hanno espresso il rischio di sviluppare fatigue in corso di trattamento in termini di Odds Ratio (con intervallo di confidenza al 95%). 

La revisione sistematica ha identificato come eleggibili per l’analisi 60 studi, per un totale di 41435 pazienti.

Considerando qualsiasi grado di severità, la fatigue è stata riportata dagli sperimentatori nel 30.4% dei pazienti che ricevevano un trattamento immunoterapico (da solo o in combinazione), con un intervallo di confidenza al 95% compreso tra il 29.9% e il 31.0%.

Il rischio di fatigue è significativamente più alto con un farmaco anti-CTLA4 rispetto a un farmaco anti-PD1 o PDL1 (Odds Ratio 1.46, intervallo di confidenza al 95% 1.04 - 2.04), e significativamente più alto con la combinazione dei 2 farmaci rispetto al solo anti-PD1 – PDL1 (Odds Ratio 1.43, intervallo di confidenza al 95% 1.12 - 1.83).

Negli studi che confrontavano immunoterapia con chemioterapia, il rischio di fatigue risulta significativamente minore con l’immunoterapia (Odds Ratio 0.79, intervallo di confidenza al 95% 0.73-0.85).

Negli studi che confrontavano immunoterapia + chemioterapia rispetto alla chemioterapia da sola il rischio di fatigue risulta significativamente maggiore con la combinazione (Odds Ratio 1.12, intervallo di confidenza al 95% 1.03-1.22).

Sulla base dei risultati sopra sintetizzati, gli autori sottolineano che l’incidenza di fatigue nei pazienti che ricevono immune checkpoint inibitori non è trascurabile (lo dimostra l’incremento significativo della fatigue sia negli studi che hanno confrontato l’immunoterapia con il placebo, sia negli studi che hanno confrontato la combinazione di chemioterapia e immunoterapia con la chemioterapia da sola), ma che l’effetto sia complessivamente più importante con la chemioterapia che con l’immunoterapia.

Gli effetti di chemioterapia e immunoterapia sono quindi additivi. In molte neoplasie, a dispetto del tentativo iniziale di impiegare l’immunoterapia come alternativa alla chemioterapia, si sono affermate combinazioni dei due trattamenti, il che significa che la maggiore efficacia deve fare i conti con un impatto sicuramente non trascurabile in termini di tossicità.

La fatigue è un evento avverso comune, spesso sottovalutato in quanto ritenuto quasi inevitabilmente associato alla malattia prima ancora che alla tossicità dei trattamenti. Sicuramente una limitazione dell’analisi è legata al fatto che gli autori hanno acquisito i dati dalle pubblicazioni, nelle quali la descrizione della tossicità è universalmente basata su quanto riportato dagli sperimentatori nelle schede raccolta dati. Tutti gli eventi avversi soggettivi sono a rischio di underreporting da parte dei medici, e la fatigue è sicuramente a rischio molto elevato. Se l’informazione sulla fatigue venisse ricavata dai questionari di qualità di vita (ad esempio il questionario EORTC QLQ-C30 contiene 2 domande a riguardo) è certo che l’incidenza assoluta risulterebbe più alta delle percentuali riportate nei lavori.

Oltre all’eterogeneità documentata in molti dei confronti presi in considerazione nella metanalisi (legata probabilmente anche all’eterogeneità degli schemi di trattamento inclusi nei vari confronti), un altro limite è sicuramente legato al fatto che gli autori hanno dicotomizzato l’incidenza della fatigue (qualsiasi grado vs assente), senza tener conto del grado di severità, che può andare da lieve a molto severo. E’ ovvio che l’impatto sulla qualità di vita e sull’attività quotidiana dei pazienti sia molto diverso a seconda del grado di severità, e quindi la classificazione dicotomica “perde” un po’ della complessità clinica del fenomeno.

Qualche mese fa Jennifer Temel pubblicava su ASCO Connection una “call” per incoraggiare la ricerca clinica oncologica nell’ambito delle terapie di supporto. Ci sono alcuni sintomi e alcuni eventi avversi che sicuramente meritano attenzione, sia nella pratica clinica che in termini di ricerca, e uno di questi è sicuramente la fatigue.