Immunoterapia
Sabato, 17 Dicembre 2022

Tumor mutation burden: biomerker sì, biomarker no?

A cura di Massimo Di Maio

La combinazione di atezolizumab e bevacizumab, già terapia standard nel tumore del fegato e sperimentata in altri tumori, è stata testata in pazienti con tumore del polmone selezionati per elevato carico mutazionale tumorale. Dati interessanti ma assolutamente preliminari.

Provencio M, Ortega AL, Coves-Sarto J, et al. Atezolizumab Plus Bevacizumab as First-line Treatment for Patients With Metastatic Nonsquamous Non–Small Cell Lung Cancer With High Tumor Mutation Burden: A Nonrandomized Controlled Trial. JAMA Oncol. Published online December 15, 2022. doi:10.1001/jamaoncol.2022.5959

Negli ultimi anni, gli immune checkpoint inhibitors hanno guadagnato un ruolo ben definito nella terapia del tumore del polmone non a piccole cellule (non small cell lung cancer, NSCLC).

Nel trattamento della malattia avanzata, l’atezolizumab, anticorpo monoclonale antiPD-L1, ha dimostrato efficacia sia come agente singolo nei casi di NSCLC caratterizzato da elevata espressione di PD-L1, sia in combinazione con la chemioterapia di prima linea (una delle schedule di provata efficacia prevede la concomitante somministrazione dell’antiangiogenico bevacizumab oltre a carboplatino e paclitaxel).

La combinazione di atezolizumab e bevacizumab è stata testata ed ha dimostrato efficacia in altri tumori solidi (rappresenta ad esempio la terapia standard di prima linea per l’epatocarcinoma avanzato).

Il tumor mutation burden (TMB) è stato studiato come potenziale fattore predittivo dell’efficacia dell’immunoterapia in vari setting, con risultati contrastanti (in alcuni casi evidenziando una chiara associazione tra TMB elevato e maggiore probabilità di efficacia dell’immunoterapia, in altri casi no).

Obiettivo dello studio di fase II TELMA (Atezolizumab Plus Bevacizumab in First-Line NSCLC Patients) era la valutazione dell’outcome clinico e della sicurezza della combinazione di atezolizumab e bevacizumab nei casi di NSCLC avanzato, non squamoso, caratterizzato da elevato TMB.

TELMA, pubblicato da JAMA Oncology, era uno studio multicentrico, a braccio singolo, non randomizzato. Prevedeva l’eleggibilità di pazienti candidati a trattamento di prima linea, in stadio IIIB-IV, ad istologia non squamosa, con TMB pari almeno a 10 mutazioni/megabase, in assenza di alterazioni di EGFR, ALK, STK11, MDM2 o ROS1.

I pazienti sono stati inclusi, nei centri spagnoli partecipanti, tra il maggio 2019 e il gennaio 2021.

I pazienti partecipanti ricevevano atezolizumab, alla dose fissa di 1200 mg, in combinazione con bevacizumab, alla dose di 15 mg/kg, al giorno 1 di ciascun ciclo di 21 giorni. Il trattamento proseguiva fino a progressione di malattia, tossicità inaccettabile, rifiuto del paziente o decisione clinica dello sperimentatore.

Endpoint primario era la sopravvivenza libera da progressione (progression-free survival, PFS) a 12 mesi, sulla base dei criteri RECIST 1.1.

Complessivamente, su un totale di 307 pazienti valutati per l’eleggibilità, sono stati inclusi 41 pazienti. Dei 41 pazienti arruolati, 3 rappresentavano deviazioni in quanto non rispettavano i criteri di inclusione e sono stati esclusi dall’analisi.
I risultati sono quindi descritti nella popolazione di 38 pazienti eleggibili per l’analisi “per protocol”: 28 erano maschi (73.7%), con un’età media di 64 anni.

La proporzione di pazienti liberi da progressione a 12 mesi è risultata pari al 51.3% (intervallo di confidenza al 95% 34.2% - 66.0%). Tale proporzione ha soddisfatto l’ipotesi per la definizione di positività dello studio per l’endpoint primario.
La proporzione di pazienti vivi a 12 mesi è risultata pari al 72.0% (intervallo di confidenza al 95% 54.1% - 83.9%).

La PFS mediana è risultata pari a 13 mesi (intervallo di confidenza al 95% 7.9 – 18.0 mesi), mentre l’OS mediana non è stata ancora raggiunta al momento dell’analisi.

La proporzione di risposte obiettive è risultata pari al 42.1% e la proporzione di pazienti che hanno ottenuto un controllo di malattia (risposta o stabilità) è risultata pari al 78.9%.

La durata mediana della risposta è stata pari a 11.7 mesi, ma con 8 risposte ancora in corso al momento dell’analisi.

La combinazione di atezolizumab e bevacizumab è risultata nel complesso discretamente tollerata, con la maggior parte degli eventi avversi di grado 1 o grado 2. Il 15.8% dei pazienti ha riportato fatigue, il 15.8% prurito, il 26.3% ipertensione e il 10.5% proteinuria.

Analisi esploratorie dei biomarker non hanno evidenziato un’associazione dei livelli di espressione di PDL1 con l’outcome.

Molto è stato già studiato, anche in altri tumori solidi, sulla combinazione di atezolizumab e bevacizumab sia in termini di razionale pre-clinico per la combinazione di un immunoterapico e un anti-angiogenico, sia in termini di tollerabilità e gestione del trattamento.

Gli autori commentano positivamente i risultati sopra descritti, sottolineando che l’outcome riportato nella popolazione in studio, con tutti i limiti dei confronti indiretti, si confronta favorevolmente con l’outcome ottenuto con atezolizumab agente singolo nei pazienti con PD-L1 elevato, nonché con l’outcome ottenuto con la combinazione di chemioterapia, atezolizumab e bevacizumab in pazienti non selezionati per PD-L1.

Si tratta di uno studio a braccio singolo, quindi è veramente difficile sbilanciarsi sull’efficacia del trattamento sperimentale, dovendosi basare solo su confronti indiretti. Anche il numero assoluto di pazienti inclusi nello studio e analizzati non è molto alto, e questo rappresenta un ulteriore limite dello studio. Infine, uno dei dati di interesse negli studi condotti con immunoterapia da sola o in combinazione è sempre la descrizione dell’outcome a medio e lungo termine, ma nel caso della pubblicazione dello studio Telma l’analisi è stata condotta con un follow-up mediano inferiore ai 2 anni, quindi la sopravvivenza mediana non è stata ancora raggiunta e non è ancora disponibile la stima dell’efficacia a lungo termine.

Le combinazioni “chemo-free” sono sempre particolarmente interessanti dal punto di vista clinico, e la validazione del TMB come biomarker predittivo per una combinazione chemo-free sarebbe molto interessante, in maniera simile a quanto ormai standard per il PD-L1 elevato per l’impiego dell’immunoterapia come agente singolo.