Miscellanea
Giovedì, 02 Aprile 2020

Anticoagulanti orali ad azione diretta: si dipinge l'evidenza anche in oncologia

A cura di Giuseppe Aprile

Dopo edoxaban e rivaroxaban è la volta di Apixaban, un terzo inibitore diretto del fattore Xa. Pubblicati i risultati del trial internazionale Caravaggio, di chiara matrice italiana.

Agnelli G, et al. Apixaban for the Treatment of Venous Thromboembolism Associated with Cancer. N Engl J Med 2020 Mar 29. Epub ahead of print.

 

Sono quattro i nuovi farmaci utilizzati nel trattamento e prevenzione della sindrome tromboembolica. Si tratta degli anticoagulanti orali ad azione diretta (DOAC), farmaci che inibiscono selettivamente un solo fattore della cascata coagulativa: la trombina nel caso del dabigatran o il fattore X attivato (Xa) nel caso di rivaroxaban, apixaban ed edoxaban. Queste molecole, già incorporate nelle linee guida per varie condizioni cliniche, sono stati suggeriti come potenziali scelte anche per la terapia in pazienti con patologia oncologica (Farge D, et al. 2019 international clinical practice guidelines for the treatment and prophylaxis of venous thromboembolism in patients with cancer. Lancet Oncol 2019; Key NS, et al. Venous Thromboembolism Prophylaxis and Treatment in Patients With Cancer: ASCO Clinical Practice Guideline Update. J Clin Oncol 2020)

Tuttavia, il beneficio in termini di efficacia di questi nuovi farmaci può essere limitato dalla maggiore incidenza di sanguinamenti maggiori, soprattutto localizzati nel tratto gastrointestinale. Per le caratteristiche farmacologiche, la famiglia degli inibitori di fattore Xa hanno una emivita breve, ma che può modificarsi negli anziani o quando vi è insufficiente clearence renale. Queste specifiche rendono superfluo (e alle colte confondente) il monitoraggio dell'assetto coagulativo durante il trattamento e facilitano l'induzione rapida dell'effetto anticoagulante senza dover ricorrere alla somministrazione di eparina.

In questo contesto si inserisce lo studio clinico CARAVAGGIO, un trial  internazionale di fase IIIb, di non-inferiorità, randomizzato in aperto (1:1) che prevedeva una revisione centralizzata in cieco degli eventi.

Lo studio, che ha avuto un primo Investigators' Meeting in Italia il 21 febbraio 2017 a Bologna, ha avuto come promotore la Fondazione FADOI.

Obiettivo dello studio era investigare l'efficacia e la safety di apixaban (comparata alla terapia standard) durante i primi sei mesi di trattamento del tromboembolismo venoso in pazienti neoplastici (comprendendo sia trombosi venosa profonda che embolia polmonare); endpoint primario dello studio era l'insorgenza di evento tromboembolico ricorrente entro i sei mesi.

Il disegno di non inferiorità prevedeva per l'intervallo di confidenza dell'HR un limite superiore del margine di non inferiorità pari a 2. Atteso dalla letteratura un primary outcome del 7% con la deltaeparina (dati dei trial CLOT e CATCH) e un tasso di perdita del 20%, si è stimato l'arruolamento di circa 1.160 pazienti.

I bracci di trattamento prevedvano deltaeparina sc 200 UI/Kg/die per un mese seguita da 150 UI/Kg/die per altri 5 mesi vs apixaban orale alla dfose di 10 mg bid per 7 gg, seguita poi da 5 mg bid.

Lo studio ha randomizzato 576 pazienti al braccio sperimentale e 579 a quello standard, con età mediana di 67 anni, equidistribuzione per genere e riscontro di clearence della creatinina inferiore a 50/ml/min di circa il 10% in entrambi i bracci (pazienti con clearence della creatinina inferiore a 30 non erano eleggibili).

La maggior parte dei pazienti arruolati, al momento della randomizzazione aveva un carcinoma avanzato e riceveva trattamento attivo (62%).

Nel gruppo randomizzato a apixaban il tasso di ricorrenza dell'evento tromboembolico è stato del 5.6% vs 7.9% in quello standard (HR 0.63, 95%CI 0.37-1.03, p<0.001 per non-inferiorità e p=0.09 per superiorità).

Un evento di sanguinamento maggiore è stato registrato nel 3.8% dei pazienti randomizzati al braccio sperimentale (n=22) vs 4% di quelli assegnati al braccio standard (n=23), HR 0.82, 95%CI 0.40-1.69, p=0.6

Tra gli outcome secondari, non si registravano differenze significative nel tasso di morte per qualsiasi causa (HR 0.82, 95%CI 0.62-1.09)  o nella event-free survival (HR 1.36) definita come assenza di evento tromboembolico ricorrente, sanguinamento maggiore o morte.

Un altro importante risultato per la ricerca italiana in tema di tromboembolia nel paziente oncologico. Lo studio CARAVAGGIO dimostra che l'utilizzo di apixaban orale offre risultati confortanti. Il trattamento è risultato (quantomeno) non-inferiore alla terapia con LMWH nella protezione da nuovi eventi tromboembolici, con un profilo di sicurezza - in termini di sanguinamento maggiore - simile a quello della deltaeparina sottocutanea e il vantaggio della somministrazione orale.

Tuttavia, è necessario ricordare che il sanguinamento gasrointestinale non era un outcome prescpecificato dello studio e la numerosità campionaria dello studio era tarata sull'endpoint di non-inferiorità in efficacia e non su quello di safety.

Rimane da stabilire se la scelta del'anticoagulante orale diretto contro il fattore X attivato sia valida anche oltre i 75 anni, dove la azione del farmaco sembra decrescere in efficacia e diventa meno buona la maneggevolezza. Inoltre, non è chiaro se una prosecuzione del trattamento oltre i sei mesi possa essere di beneficio in alcuni pazienti a particolare rischio.

Il trial non includeva pazienti con neoplasia encefalica primitiva o metastasi encefaliche, quindi le conclusioni dello studio non sono estrapolabili a questa popolazione.