Miscellanea
Sabato, 13 Giugno 2015

AR/V7: un fattore predittivo per molti (farmaci) ma non per tutti?

A cura di Massimo Di Maio

Precedenti dati avevano evidenziato che, in pazienti con carcinoma della prostata, la variante di splicing 7 del recettore per gli androgeni è associata a resistenza a abiraterone e enzalutamide… Ma la variante predice anche la resistenza alla chemioterapia? La risposta è no.

Antonarakis ES et al. Androgen Receptor Splice Variant 7 and Efficacy of Taxane Chemotherapy in Patients With Metastatic Castration-Resistant Prostate Cancer. JAMA Oncol. Published online June 04, 2015. doi:10.1001/jamaoncol.2015.1341

Il precedente lavoro pubblicato sul New England Journal of Medicine aveva evidenziato che la presenza della variante di splicing 7 del recettore per gli androgeni (AR-V7) nelle cellule tumorali circolanti di uomini affetti da carcinoma della prostata resistente alla castrazione è associata a resistenza intrinseca all’attività di agenti ormonali quali enzalutamide ed abiraterone.

Peraltro, non esistevano dati sulla relazione tra la presenza della medesima variante di splicing e l’attività della chemioterapia (docetaxel o cabazitaxel).

Allo scopo di descrivere tale relazione, i ricercatori del Johns Hopkins hanno determinato la presenza della AR-V7 sulle cellule tumorali circolanti di pazienti trattati con docetaxel o cabazitaxel tra il 2013 ed il 2014.

Endpoint:
• Risposta in termini di PSA
• Sopravvivenza libera da progressione biochimica (PSA)
• Sopravvivenza libera da progressione clinica / radiografica

Gli autori hanno anche combinato i dati della presente analisi con i dati precedentemente pubblicati, in cui avevano descritto la presenza della AR-V7 in una serie di pazienti trattati con enzalutamide ed abiraterone.

Complessivamente, sono stati inseriti nell’analisi 37 pazienti, trattati con docetaxel o con cabazitaxel. La variante di splicing 7 del recettore per gli androgeni, a livello delle cellule tumorali circolanti, è stata riscontrata in 17 pazienti (46%).

La risposta in termini di PSA è stata osservata in proporzione non significativamente differente nei casi AR-V7 positivi e nei casi AR-V7 negativi (41% e 65%, rispettivamente, p=0.19).
I due gruppi di pazienti non hanno presentato una significativa differenza nella sopravvivenza libera da progressione biochimica e nella sopravvivenza libera da progressione strumentale / clinica, anche se il piccolo numero di pazienti rende molto ampio l’intervallo di confidenza: hazard ratio 1.7, intervallo di confidenza al 95% 0.6-5.0; p = 0.32 per la PSA PFS e hazard ratio 2.7, intervallo di confidenza al 95% 0.8-8.8; p  =0 .11 per la PFS strumentale / clinica.

L’analisi combinata della casistica trattata con chemioterapia e della precedente casistica trattata con enzalutamide o abiraterone ha evidenziato un’interazione significativa tra lo stato di AR-V7 e il tipo di trattamento (P < .001).

Nel dettaglio:

  • nei pazienti positivi per la presenza della variante di splicing, l’outcome era significativamente migliore con i taxani rispetto alla terapia ormonale;
  • al contrario, non sono state evidenziate differenze significative tra i due tipi di trattamento nei pazienti negativi per la variante.

Nei pazienti positivi per AR-V7, le risposte in termini di PSA sono state il 41% con la chemioterapia, rispetto allo 0% con la terapia ormonale. Nei pazienti positivi per AR-V7, sia la FSA PFS che la PFS strumentale / clinica sono risultate di gran lunga migliori con la chemioterapia che con la terapia ormonale:

  • hazard ratio 0.19 [intervallo di confidenza 95%, 0.07-0.52] per la PSA PFS;
  • hazard ratio 0.21 [intervallo di confidenza 95%, 0.07-0.59] per la PFS strumentale / clinica.

La precedente pubblicazione sul NEJM aveva portato alla ribalta la variante di splicing 7 del recettore per gli androgeni come fattore predittivo di efficacia della terapia ormonale con abiraterone o enzalutamide nei pazienti con carcinoma della prostata resistente alla castrazione.
Peraltro, quei dati si riferivano ad una casistica trattata tutta con la terapia ormonale, e quindi non consentivano di concludere con certezza se si trattasse di un fattore predittivo specifico per la terapia ormonale, o genericamente di un fattore prognostico sfavorevole.

I dati pubblicati ora su JAMA Oncology supportano l’ipotesi che la presenza della variante di splicing condizioni la risposta alla terapia ormonale, e molto meno (o per niente) la risposta alla chemioterapia.

Come giustamente sottolineato nell’editoriale che accompagna la pubblicazione dell’articolo, i numeri di pazienti analizzati sono molto piccoli, e le conclusioni richiedono conferma su ulteriori casistiche. Tuttavia, lo sforzo di identificare fattori molecolari predittivi di efficacia va guardato con grande interesse, in quanto potrebbe avere importanti ripercussioni sulle decisioni terapeutiche in questo setting di pazienti, consentendo di scegliere la migliore opzione terapeutica (tra i numerosi farmaci recentemente entrati nella pratica clinica) in maniera “mirata”.

Sia l’articolo che l’editoriale sono consultabili gratuitamente sulla “neonata” rivista JAMA Oncology.