Miscellanea
Sabato, 29 Agosto 2015

Beta-bloccanti: solo anti-ipertensivi o anche anti-tumorali?

A cura di Massimo Di Maio

Uno studio retrospettivo condotto in 1425 pazienti con carcinoma dell’ovaio sottoposte a chemioterapia ha evidenziato migliore sopravvivenza in chi assumeva beta-bloccanti. Dato intrigante e con razionale preclinico: avrà possibili risvolti terapeutici?

Watkins, J. L., Thaker, P. H., Nick, A. M., Ramondetta, L. M., Kumar, S., Urbauer, D. L., Matsuo, K., Squires, K. C., Coleman, R. L., Lutgendorf, S. K., Ramirez, P. T. and Sood, A. K. (2015), Clinical impact of selective and nonselective beta-blockers on survival in patients with ovarian cancer. Cancer. doi: 10.1002/cncr.29392

Studi preclinici suggeriscono che la stimolazione adrenergica possa avere un effetto prognosticamente negativo sull’andamento del tumore dell’ovaio, sia agendo a livello delle cellule tumorali che del microambiente (in particolare facilitando la metastatizzazione grazie alla stimolazione delle metalloproteinasi e stimolando l’angiogenesi).

Alcuni lavori hanno suggerito un impatto prognostico favorevole dell’assunzione dei beta-bloccanti assunti come anti-ipertensivi o per altre patologie concomitanti, ma i risultati finora pubblicati sono controversi, in quanto alcune analisi non hanno confermato tale associazione.

Ricercatori dell’MD Anderson e di altri centri statunitensi hanno analizzato retrospettivamente i dati di 1425 pazienti affette da carcinoma ovarico, sottoposte a chemioterapia, confrontando l’outcome delle pazienti che assumevano, per il controllo della pressione o per altre patologie concomitanti, beta-bloccanti con l’outcome delle altre pazienti.

Complessivamente, sono state inserite nell’analisi 1425 pazienti (età mediana 63 anni): 269 di esse assumevano beta-bloccanti durante la chemioterapia, per il controllo della pressione o per un’aritmia o come terapia farmacologica dopo un infarto del miocardio. Di queste 269 pazienti, 193 (pari al 71.7%) assumeva un beta-bloccante selettivo per i recettori beta-1 (ad esempio atenololo, acebutololo, bisoprololo, metoprololo), mentre le rimanenti assumevano un beta-bloccante non selettivo (tipicamente, il propranololo) che agisce quindi sia sui recettori beta-1 che beta-2.

La sopravvivenza globale è risultata più lunga nelle pazienti che assumevano un beta-bloccante (sopravvivenza mediana pari a 47.8 mesi rispetto a 42 mesi, p=0.04).

Interessante l’osservazione che la sopravvivenza globale è risultata nettamente migliore nel sottogruppo di pazienti trattate con beta-bloccanti non selettivi (sopravvivenza mediana 94.9 mesi) rispetto alle pazienti trattate con beta-bloccanti selettivi (sopravvivenza mediana 38 mesi). Tale differenza era statisticamente significativa (p<0.001).

Gli autori hanno ovviamente descritto l’impatto prognostico dell’ipertensione, che risultava associata ad una sopravvivenza globale mediamente peggiore. Peraltro, limitando l’analisi dell’impatto prognostico dell’impiego dei beta-bloccanti alle sole pazienti affette da ipertensione, si confermava la migliore sopravvivenza nelle pazienti che assumevano un beta-bloccante non selettivo rispetto a quelle che non ne assumevano.

Ovviamente, non sono le evidenze precliniche, né gli studi retrospettivi a fornire evidenze solide relative all’impatto di un farmaco (o una categoria di farmaci) sulla sopravvivenza. D’altra parte, i dati recentemente pubblicati su Cancer da Watkins e colleghi sono intriganti, perché aggiungono un altro tassello alla letteratura già disponibile sul possibile impatto terapeutico dei beta-bloccanti come anti-tumorali.

Va sottolineato che un’analisi retrospettiva, per quanto condotta e commentata in maniera equilibrata, soffre di molti punti deboli, e soprattutto la revisione della letteratura disponibile per analisi di questo tipo può risentire in maniera rilevante del publication bias: analisi del genere vengono pubblicate molto più facilmente se il risultato è positivo, rispetto alle eventuali analisi simili dal risultato negativo.

I beta-bloccanti sono una categoria di farmaci ampiamente usati, assunti anche durante la chemioterapia da una percentuale non trascurabile di pazienti, sia nel caso del carcinoma ovarico che di altre neoplasie solide. I dati preclinici e i provocatori risultati delle analisi retrospettive suggeriscono di verificare prospetticamente il dato. Ad oggi, sono registrati su Clinicaltrials.gov un paio di studi di fattibilità, in cui viene valutata la tollerabilità della combinazione di propranololo con la chemioterapia. Se, come è probabile, l’aumento degli effetti collaterali dato dall’aggiunta del beta-bloccante non sarà inaccettabile, sarebbe sicuramente interessante condurre studi randomizzati per verificare l’efficacia terapeutica della strategia.