Miscellanea
Giovedì, 21 Luglio 2016

Che ne sarà di me?

A cura di Giuseppe Aprile

Nel 70% dei casi la percezione del paziente riguardo alla prognosi differisce da quella dell'oncologo. Ma solo un paziente ogni 10 ne è a conoscenza. Uno studio americano fa riflettere sulla reale capacità comuncativa, sull'allineamento informativo e sull'empatia medico-paziente che spesso non si crea.

Gramling R, et al. Determinants of Patient-Oncologist Prognostic Discordance in Advanced Cancer. Jama Oncol 2016, 14 July, epub ahead of print.

Il paziente oncologico che accede all'ambulatorio per la cura di una specifica patologia vuole sapere dal medico tre cose: quale sia la malattia (aspetto diagnostico), quanto grave sia (informazione sulla prognosi) e cosa si possa fare (sfera terapeutica). Il valore da attribuire a questi tre campi informativi, come atteso, differisce in modo significativo tra il setting adiuvante, nel quale obiettivo principale è la guarigione, e quello avanzato, nel quale molto spesso l'obiettivo centra sul prolungamento della sopravvivenza, sul controllo della malattia e sul miglioramento della qualità di vita (Belvedere O, Eur J Cancer 2004).

Limitandoci alla sfera prognostica, sappiamo che frequentemente vi è un disallineamento tra la stima del medico oncologo (che si basa sui dati di letteratura pur sperando ogni paziente possa essere un outlayer) e quella del paziente, che spesso tende ad essere eccessivamente ottimista (Weeks JC, et al. N Engl J Med 2012; Enzinger AC, et al. J Clin Oncol 2015).

Lo studio recentemente pubblicato su JAMA Oncology vuole descrivere la prevalenza, la distribuzione e la proporzione della discordanza sulla prognosi in relazione al fatto che il paziente sappia (vs non sappia) dell'esistenza di questo disallineamento. Con un disegno cross sectional, lo studio è stato condotto in tre centri accademici negli US (Rochester, NY, Sacramento) e l'esperienza focalizza sulla discordanza prognostica nella stima di sopravvivenza a due anni.

Nei casi discordanti era chiesto al paziente di riportare il loro pensiero su quale fosse a loro giudizio la stima prognostica dell'oncologo e se erano a conoscenza la stima differisse sensibilmente. L'analisi riportata è di carattere descrittivo, per stabilire l'associazione con le discordanze è stato usato il test X2.

 

Lo studio ha incluso 236 pazienti (54% donne, età mediana 64.5 anni) e 38 professionisti.

I risultati sono i seguenti:

1) Nel 68% dei casi la stima prognostica differiva tra pazienti e medici, senza sostanziale differenze per sesso, età, educazione, livello stipendiale, tipologia di informazione ricevuta. L'unica variabile associata era l'etnia, con un maggior frequenza di discordanza nelle popolazioni non caucasiche.

2) Solo il 10% dei pazienti era a conoscenza della possibile discrepanza

3) Nei casi con stima prognostica discorde (161/236), il 96% dei pazienti era maggiormente ottimista rispetto all'oncologo ed il 52% lo rimaneva nonostante avesse avuto una seconda possibilità di colloquio con l'oncologo di riferimento.

La differente percezione prognostica rimane un punto critico nella comunicazione tra medico e paziente e nell'ottimale engagement in un processo decisionale condiviso.

In terre nordamericane, l'esplicitare una chiara stima prognostica da parte dell'oncologo e la successiva verifica della comprensione di tale stima da parte del paziente potrebbero indicare la strada per un trattamento che rispetti (e onori) desideri, valori e preferenze del malato. Considerazione difficile da replicare, però, in area molto più mediterranea...