Miscellanea
Sabato, 05 Marzo 2022

COVID nei pazienti oncologici: proteggerli e garantire tutte le terapie antitumorali è stata la scelta giusta…

A cura di Massimo Di Maio

Uno studio britannico  ha descritto l’andamento del COVID in pazienti oncologici, valutando il rischio di mortalità in funzione del tipo di tumore e del tipo di trattamento antitumorale. Il risultato tranquillizza: in caso di infezione, essere in corso di terapia non peggiora la mortalità.

Várnai C, Palles C, Arnold R, et al. Mortality Among Adults With Cancer Undergoing Chemotherapy or Immunotherapy and Infected With COVID-19. JAMA Netw Open. 2022;5(2):e220130. doi:10.1001/jamanetworkopen.2022.0130

Sin dal primo momento della pandemia di COVID, è apparso chiaro che alcune categorie di soggetti fragili, in primis i pazienti oncologici, sono particolarmente a rischio di manifestare un decorso dell’infezione severo e potenzialmente letale. Quanto questo rischio fosse intrinsecamente legato al tumore, e quanto fosse peggiorato dall’effetto immunosoppressivo di alcune terapie antitumorali, non è stato subito chiaro, anche perché le casistiche pubblicate si riferivano spesso a pazienti in cui la diagnosi di COVID era avvenuta in momenti diversi della storia oncologica: in alcuni casi, durante il trattamento attivo, in altri casi dopo il completamento del trattamento, in altri ancora a distanza di anni dalla fine delle terapie.

La pubblicazione di JAMA Network Open riporta i risultati dello studio UK Coronavirus Cancer Monitoring Project (UKCCMP), uno studio prospettico di coorte condotto presso 69 ospedali britannici. Lo studio prevedeva l’inclusione di pazienti adulti, con un tumore attivo (definito come un tumore metastatico, un tumore in trattamento in corso o completato entro i 12 mesi precedenti) e con diagnosi di COVID.

Obiettivo dello studio era quello di valutare se la mortalità per COVID-19 è influenzata dal tipo di terapia sistemica antitumorale in corso al momento dell’infezione, oppure dal tipo di tumore, o dalle caratteristiche demografiche dei pazienti.

Sono stati inclusi nell’analisi pazienti con diagnosi di COVID tra il marzo e Agosto 2020. Sono stati raccolti dati relativi al trattamento sistemico, al tipo di tumore, alle caratteristiche demografiche dei pazienti (inclusi età, sesso, body mass index, etnia, storia di fumo), e alle comorbidità.

L’endpoint primario dell’analisi era la mortalità per qualsiasi causa nel corso dell’ospedalizzazione.

Lo studio ha incluso 2515 pazienti, dei quali 1464 (pari al 58%) erano di sesso maschile. L’età mediana era pari a 72 annni (range interquartile 62-80).

Complessivamente, è stata osservata una mortalità pari al 38%.

L’analisi dell’associazione tra tipo di tumore e mortalità in caso di COVID ha evidenziato un rischio significativamente maggiore per alcuni tipi di neoplasia. In particolare, il rischio è risultato maggiore per i pazienti affetti da neoplasie ematologiche: leucemie acute o sindromi mielodisplastiche (Odds Ratio 2.16; intervallo di confidenza al 95% 1.30 - 3.60) e mieloma (Odds Ratio 1.53, intervallo di confidenza al 95% 1.04 - 2.26).

Il rischio è risultato maggiore anche per i pazienti affetti da tumore del polmone (Odds Ratio 1.58, intervallo di confidenza al 95% 1.11 - 2.25).

L’analisi dell’associazione tra tipo di trattamento antitumorale ricevuto e mortalità in caso di COVID, corretta per età, sesso e patologie concomitanti, non ha evidenziato un rischio significativamente maggiore per i pazienti che, nelle 4 settimane precedenti la diagnosi di COVID, avessero ricevuto chemioterapia.

Per quanto riguarda invece l’immunoterapia, la sua somministrazione nelle 4 settimane precedenti è risultata addirittura associata a una minor mortalità in caso di diagnosi di COVID: Odds Ratio 0.52; intervallo di confidenza al 95% 0.31 -0.86).

Lo studio britannico conferma il rischio elevato di conseguenze severe e l’elevata mortalità da COVID nei pazienti oncologici, fermo restando che i dati presentati sono riferiti a un periodo antecedente l’introduzione dei vaccini.

Peraltro, lo studio enfatizza l’eterogeneità del rischio a seconda del tipo di tumore, con un rischio particolarmente alto nelle neoplasie ematologiche e nel tumore del polmone. Questo dato non sorprende, considerato l’elevato grado di compromissione delle difese immunitarie nelle leucemie acute e in altre neoplasie, nonché l’elevata fragilità dei pazienti con tumore del polmone, tipicamente caratterizzati da un’elevata frequenza di patologie cardiovascolari e polmonari. Peraltro, il dato relativo al tumore del polmone rimane significativo all'analisi multivariata, che correggeva anche per la presenza di patologie concomitanti, ribadendo quindi il rischio aumentato intrinsecamente associato alla patologia tumorale.  

Il dato importante dello studio è l’assenza di rischio aumentato nei soggetti che ricevono diagnosi di COVID in corso di trattamento antitumorale attivo: nessun incremento del rischio in caso di chemioterapia recente, addirittura un’apparente protezione in caso di immunoterapia recente.

Questi risultati dello studio britannico confortano rispetto alle scelte adottate in corso di pandemia per i pazienti oncologici. Durante la prima ondata, quando era apparso subito chiaro che i pazienti oncologici erano particolarmente a rischio di morte in caso di diagnosi di COVID, la priorità assoluta era stata ridurre al minimo il rischio di infezione, anche a costo di rinviare gli accessi in ospedale per le terapie. Successivamente, è stato fatto uno sforzo per garantire tutte le terapie antitumorali, organizzando percorsi protetti per i pazienti oncologici. Alla luce dei risultati dello studio britannico, questa scelta appare giusta, in quanto proseguire le terapie antitumorali (chemioterapia, immunoterapia, farmaci a bersaglio molecolare) non espone i pazienti a un aumento del rischio in caso di malaugurata diagnosi di COVID in corso di trattamento.

Le analisi presentate nella pubblicazione di JAMA Network Open sono basate su una serie di pazienti con diagnosi di COVID nel 2020, quindi prima della disponibilità del vaccino anti-SARS-CoV-2. Già in era pre-vaccino, quindi, il beneficio della prosecuzione dei trattamenti antitumorali si rivelava maggiore del temuto aumento del rischio in caso di contagio. Naturalmente, la disponibilità del vaccino, per il quale i pazienti oncologici, in quanto fragili, hanno avuto la priorità, ha contribuito a rendere ancora migliore il rapporto tra benefici e rischi della “normalizzazione” dei trattamenti oncologici.

Un dato interessante presentato dagli autori inglesi è la bassa percentuale di accessi in terapia intensiva nella casistica di pazienti oncologici presa in esame, nonostante l’elevata severità e mortalità del COVID. Questo dato fa riflettere sul fatto che, probabilmente, la diagnosi di tumore “pesa” sulla valutazione dell’eleggibilità per terapia intensiva, ma tale delicata valutazione dovrebbe sempre presupporre un confronto tra gli specialisti coinvolti nel trattamento di questi pazienti, incluso l’oncologo.