Miscellanea
Giovedì, 18 Luglio 2019

Dopo la guarigione: come affrontare la paura della recidiva?

A cura di Giuseppe Aprile

L'auspicato aumento della chance di guarigione pone nuove sfide. Un punto importante nel "suvivorship care plan" è la gestione del timore della recidiva della neoplasia, causa di distress emotivo che guida comportamenti non sempre salutari.

Hall DL, et al. Fear of Cancer Recurrence: A Model Examination of Physical Symptoms, Emotional Distress, and Health Behavior Change. J Oncol Pract 2019 epub Jul 12

Negli ultimi 30 anni, il progresso tecnologico e l'introduzione di nuovi farmaci hanno consentito di aumentare le chance di cura e di guarigione per i pazienti affetti dalle più frequenti neoplasie solide. Si stima infatti che, nel prossimo decennio, il numero di soggetti guariti da una neoplasia raggiungerà i 20 milioni negli US e i 3.5 milioni in Italia. La gestione clinica dei pazienti guariti pone nuove sfide e presuppone vi sia un adeguato investimento nella accurata gestione di un efficace "survivorship care plan", il complesso programma socio-sanitario di azioni e consigli da integrare nel percorso che riporta chi è stato guarito da una neoplasia alla completa riacquisizione della normalità e al mantenimento dello stato di salute.

Tra i problemi frequentemente riferiti dalle persone che hanno avuto a che fare con la patologia oncologica vi è, comprensibilmente, la paura della recidiva di malattia. Questo fenomeno è riportato dal 30 al 70% dei soggetti e quando elevato nell'intensità rappresenta un'importante causa di distress emotivo.

La recente pubblicazione affronta esattamente questo tema, analizzando le survey sui fabbisogni psicosociali completate da 258 pazienti seguiti al Massachusetts General Hospital Cancer Center dopo il completamento della terapia medica con intento di guarigione e valutando quali risvolti comportamentali potesse generare la paura della recidiva di malattia, spesso alimentata dalla comparsa di modesti sintomi fisici. 

Le misure di outcome sono state misurate con questionari validati quali Assesment of Cancer Concerns e la valutazione del distress emotivo, stabilendo anche l'associazione tra l'intensità del timore di recidiva e alcuni cambi comportamentali (dieta, attività fisica, consumo di alcolici, utilizzo di creme solari protettive).

La maggior parte dei soggetti inclusi nello studio erano di sesso femminile (64%), di età maggiore ai 60 anni (55%) e con neoplasia mammaria (30% circa). Tutti i pazienti avevano completato la terapia postoperatoria con intento guaritivo - trattamento ormonale, antiblastico, terapia biologica o radioterapia che fosse - ed erano seguiti a controlli in setting ambulatoriale.

L'avere un maggior numero di sintomi fisici correlava con la paura di recidiva (r di Pearson = 0.26, p<0.001) che a sua volta correlava con un maggiore distress emotivo (r = 0.66, p<0.01); il modello proposto dagli autori rappresentava quasi la metà della varianzanel distress dei soggetti inclusi (R2 0.44, p <0.001).

Inoltre, la presenza di alti valori di timore della recidiva della patologia oncologica era correlata ad una ridotta o meno vigorosa attività fisica (p<0.05), maggiore utilizzo di protezione solare (p<0.05) e più intenso consumo alcolico (p<0.01).

Lo studio sottolinea l'importanza di valutare nel "survivorship care plan" la paura della recidiva di malattia, poichè questa non solo può causare distress emotivo ma anche condizionare i futuri comportamenti del soggetto nordamericano potenzialmente guarito, che pericolosamente si allontana da quanto consigliato dalle linee guida NCCN. 

Sebbene lo studio non chiarisca quale investimento debba essere fatto nel rassicurare i pazienti mitigando il livello elevato del timore di recidiva nè suggerisca se in questi soggetti debba essere praticata una sorveglianza più attenta o intrapreso un intervento psicoterapico, ha il pregio di evidenziare l'importanza della problematica (si consiglia la lettura di Butow P, et al. Fear of Cancer Recurrence: A Practical Guide for Clinicians. Oncology 2018), già analizzata anche in contesti non oncologici.

Negli anni a venire sarà dunque importante introdurre questa valutazione nella pratica clinica, anche in Italia.