Miscellanea
Sabato, 23 Marzo 2019

Gli studi randomizzati: un insostituibile livello di evidenza?

A cura di Massimo Di Maio

Un confronto tra i risultati degli studi randomizzati e quelli degli studi osservazionali di popolazione condotti per rispondere al medesimo quesito sottolinea che questi ultimi, spesso viziati da bias, possono produrre risultati inaffidabili, o comunque molto diversi rispetto agli studi randomizzati.

Soni PD, Hartman HE, Dess RT, Abugharib A, Allen SG, Feng FY, Zietman AL, Jagsi R, Schipper MJ, Spratt DE. Comparison of Population-Based Observational Studies With Randomized Trials in Oncology. J Clin Oncol. 2019 Mar 21:JCO1801074. doi: 10.1200/JCO.18.01074. [Epub ahead of print] PubMed PMID: 30897037.

In assenza di studi randomizzati, spesso si prova a rispondere al quesito del confronto tra trattamenti diversi in termini di efficacia usando dati di registri di popolazione, nei quali naturalmente la scelta del trattamento non è avvenuta mediante randomizzazione, ma sulla base delle scelte eseguite nella pratica clinica.

E’ ben noto che tali confronti sono potenzialmente viziati da bias in quanto la scelta tra trattamenti alternativi può essere spesso condizionata dalle caratteristiche del paziente, e quindi i gruppi confrontati differiscono inevitabilmente non solo per il trattamento ricevuto, ma per alcune altre variabili prognosticamente rilevanti.

Esistono tecniche statistiche che provano a correggere tale bias, presumendo di aumentare la comparabilità dei gruppi confrontati, ma non è garantito che tali tecniche, per quanto applicate in maniera tecnicamente corretta, mettano al riparo da un’interpretazione distorta.

Con queste premesse, gli autori della pubblicazione del Journal of Clinical Oncology hanno preso in esame le pubblicazioni relative agli studi osservazionali che confrontassero due trattamenti oncologici, confrontandone i risultati con quelli degli studi randomizzati che affrontavano il medesimo quesito, laddove esistenti.

Sono stati presi in considerazione gli studi pubblicati su MEDLINE tra il gennaio 2000 e l’ottobre 2016, che fossero basati sui 3 più importanti e comuni registri di popolazione impiegati per la ricerca oncologica negli Stati Uniti: SEER, SEER-Medicare, e National Cancer Database (NCDB).

In caso di più studi randomizzati potenzialmente abbinabili agli studi osservazionali, è stato scelto per il confronto quello che presentasse i criteri di inclusione più simili e quindi condotto nella popolazione potenzialmente più simile. Se più studi rispettavano tale criterio, gli autori hanno scelto lo studio con la maggiore numerosità campionaria.

Outcome primario dell’analisi era la correlazione tra il risultato in termini di sopravvivenza globale (espresso come hazard ratio) ottenuto nell’ambito dello studio osservazionale, e l’analogo risultato ottenuto nell’ambito dello studio randomizzato.

Obiettivo secondario era la descrizione della concordanza tra i due risultati misurata in termini di agreement qualitativo: gli studi erano considerati concordanti se entrambi producevano una differenza significativa in sopravvivenza tra i trattamenti, nella medesima direzione, oppure se non evidenziavano alcuna differenza significativa tra i trattamenti.

Altro obiettivo secondario era l’analisi dei fattori predittivi di concordanza.

Gli autori hanno preso in considerazione complessivamente 3657 studi, 350 dei quali rispettavano I criteri di eleggibilità. Questi 350 studi sono stati abbinati a 121 studi randomizzati disegnati per rispondere al medesimo quesito.

Non è stata descritta una correlazione significativa tra la stima dell’Hazard Ratio riportata dagli studi osservazionali e la stima dell’Hazard Ratio riportata dagli studi randomizzati. Il coefficiente di correlazione è risultato pari a 0.083, con intervallo di confidenza al 95% compreso tra −0.068 e 0.230.

Il 40% degli studi appaiati presentavano concordanza in termini di efficacia del trattamento (coefficiente κ pari a 0.037, con intervallo di confidenza al 95% compreso tra −0.027 e 0.01),

Nel 62% dei casi, l’Hazard Ratio ottenuto nell’ambito dello studio osservazionale cadeva dentro l’intervallo di confidenza al 95% dello studio randomizzato.

L’analisi che ha provato a studiare se alcuni fattori siano in grado di predire la concordanza tra il risultato dello studio osservazionale e il risultato dello studio randomizzato non ha evidenziato un ruolo predittivo significativo né per il tipo di tumore, né per la fonte impiegata per i dati, né per la correzione per età, stadio, comorbidità, né per l’impiego di tecniche di correzione per “propensity”, né per la verifica di bilanciamento tra le popolazioni confrontate.

I risultati dell’analisi di Soni e colleghi sono in parte allarmanti, in quanto mettono in dubbio l’affidabilità dei risultati ottenuti conducendo confronti fra trattamenti in studi di popolazione. Per giunta, il tentativo di identificare fattori potenzialmente in grado di migliorare l’affidabilità degli studi osservazionali è risultato sostanzialmente infruttuoso.

Nella piramide dell’evidenza, gli studi randomizzati rappresentano sicuramente il livello di evidenza più solido e più affidabile. Probabilmente, confronti non randomizzati, per quanto “tecnicamente” impreziositi da tecniche di propensity matching o altre correzioni che mirino a ridurre il bias, sono intrinsecamente deboli, ed esposti al rischio concreto di portare a conclusioni errate, in tutto (nel dichiarare la superiorità di un trattamento rispetto all’altro oppure l’assenza di differenze) o in parte (nello stimare l’entità delle differenze tra i trattamenti).

Gli autori producono vari esempi molto efficaci. Ricordano, ad esempio, che in uno studio basato sull’analisi del registro SEER-Medicare dei pazienti con tumore della prostata, l’aggiunta della terapia di deprivazione androgenica alla radioterapia risultava associata a un aumentato rischio di mortalità, nonostante l’analisi fosse aggiustata per lo stadio di malattia, per le comorbidità e per altri potenziali fattori confondenti. Tale risultato va esattamente nella direzione opposta rispetto a 4 studi randomizzati.

Ancora, gli autori ricordano che, in un’analisi del registro SEER-Medicare in cui si confrontava l’outcome della sorveglianza rispetto al trattamento attivo nei pazienti con tumore della prostata in stadio precoce, la sopravvivenza attesa per gli uomini sottoposti a intervento chirurgico risultava addirittura migliore rispetto a una popolazione di controllo che non aveva il tumore. Tale riscontro, francamente non realistico, evidenzia la selezione intrinseca in una popolazione che, essendo stata candidata a chirurgia, era mediamente più giovane e senza comorbidità rispetto al gruppo di controllo, rendendo qualunque confronto in termini di mortalità assolutamente inaffidabile.

Laddove possibile, quindi, è sempre metodologicamente corretto e clinicamente auspicabile poter contare sui risultati di un confronto randomizzato.