Miscellanea
Venerdì, 03 Novembre 2017

Prevenzione primaria: è giusto testare nella popolazione la deficienza di vitamina D?

A cura di Giuseppe Aprile

C'è un acceso dibattito riguardo al ruolo della vitamina D nella cancerogenesi e alla associazione causale tra la sua carenza e l'aumentato rischio di cancro. Lo studio presentato affronta questo tema arruolando oltre 70.000 pazienti e 85.000 controlli.

Dimitrakopoulou V, et al. Circulating vitamin D concentration and risk of seven cancers: Menedelian randomisation study. BMJ 2017;359:j4761. Epub Oct 31st.

Scopo della prevenzione primaria è quello di ridurre l'incidenza del cancro riducendo i fattori di rischio modificabili, minimizzando la probabilità che compaia un tumore. Una corretta strategia di prevenzione primaria non si basa solo sull'identificazione dei fattori di rischio, ma anche e soprattutto sulla valutazione di quanto l'intera popolazione e il singolo individuo siano esposti a tali fattori.

Le strategie di prevenzione primaria possono essere dirette a tutta la popolazione (es: corretta alimentazione, attività fisica adeguata, riduzione del consumo di alcolici, politiche sul fumo, vaccini) o a particolari categorie considerate 'ad alto rischio'.

Evidenze precliniche dimostrano che la vitamina D abbia un ruolo antineoplastico.

Nell'uomo, ebbene alcune metanalisi di studi oservazionali suggeriscano che alti livelli di plasmatici di diidrossivitamina D siano correlati a una minore incidenza di adenomi e cancri colorettali, i dati su altre neoplasie (in particolare tumori della prostata e della mammella) danno risultati poco convincenti anche per limiti metodologici. Inoltre, un importante trial prospettico randomizzati che indagava il ruolo della supplementazione orale con 400UI/die di vitamina D e calcio non ha dimostrato un effetto di protezione rispetto al rischio di neoplasia (Women's Health Initiative Trial).

Gli autori utilizzano una randomizzazione mendeliana per verificare il rischio di sviluppare sette differenti tipi di cancro (colorettale, mammario, prostatico, ovarico, polmonare, pancreatico o cerebrale) utilizzando i dati dagli studi GAME-ON, GECCO, PRACTICAL, MR-Base.

La randomizzazione mendeliana  è un metodo che permette di verificare un effetto causale da dati osservazionali in presenza di fattori confondenti, basandosi su basa sull’utilizzo di noti polimorfismi genici che presentino effetti conosciuti sui modelli di esposizione, e permette di stimare l’associazione tra polimorfismo e malattia come stima dell’associazione causale tra una data esposizione e la malattia stessa eliminando il problema della causalità inversa e superando il limite temporale degli studi di coorte.

Nel studio presentato sono stati utilizzati 4 polimorfismi a singolo nucleotide (rs2282679, rs10741657, rs12785878 e rs6013897); endopoint dello studio era verificare un incremento di rischio di cancro per score di multipolimorfismo (livello genetico determinato di vitamina D plasmatica).

Gli odds ratios per incremento plasmatico di 25 nmol/L di vitamina D (25-OH) e le neoplasie big killer erano:

cancro del colon 0.92 (95%CI 0.76-1.10)

cancro della mammella 1.05 (95%CI 0.89-1.24)

cancro della prostata 0.89 (95%CI 0.77-1.02)

cancro del polmone 1.03 (95%CI 0.87-1.23)

 

 

Sebbene non si possa teoricamente escludere una piccola influenza (il modello poteva stimare un aumento di rischio moderato), lo studio dimostra che non vi sia una associazione lineare tra livello plasmatico baseline geneticamente determinato di vitamina D e rischio di cancro.

Ne discende che non sia giustificato lo screening su larga scala del livello di vitamina D plasmatica come prevenzione primaria né possa essere raccomandata la supplementazione universale di vitamina D nella popolazione generale con questa specifica finalità.

Un limite dello studio è la fonte dei dati (summary level data) che non ha permesso una analisi stratificata per alcune covariate di interesse quali abitudine al fumo, BMI, stato menopausale o assunzione di terapia estroprogestinica sostitutiva.