Miscellanea
Venerdì, 10 Maggio 2019

Sul conflitto di interesse in oncologia: nuova evidenza?

A cura di Giuseppe Aprile

Mentre anche in Italia prosegue il ragionamento sulla definizione e sui confini del conflitto di interesse, una analisi statunitense condotta a 5 anni dalla introduzione del Sunshine Act aggiunge nuove informazioni. Ma attenzione all'interpretazione.

Mitchell AP et al. Evaluating the Strength of the Association Between Industry Payments and Prescribing Practices in Oncology. Oncologist 2019;24:1-8.

Anche per l'oncologia italiana è importante il confronto sul tema del conflitto di interesse: un tema rilevante e di grande portata etica e mediatica. Certamente va riconosciuta la natura di "condizione" del conflitto di interesse - da non confondere nemmeno lontanamente con la corruzione e la cui definizione può variare.

In generale, si riconosce conflitto di interesse ogni condizione, reale o potenziale, per la quale l'interesse primario, identificata con la salute del paziente e della comunità o la veridicità di una ricerca scientifica, subisca una indebita influenza dal perseguimento di un interesse secondario, identificato nel vantaggio personale del medico in termini finanziari-economici, di cariera o di favori personali.

In questo contesto, assume rilevanza la problematica del conflitto di interesse di ordine finanziario. In seguito alla inchiesta giornalistica di ProPublica del 2009, la posizione nordamericana della amministrazione Obama è cambiata nel 2010: nell'ambito dell'Affordable Care Act si è optato per una proposta di legge approvata dal governo americano e conosciuta come Physician Payments Sunshine Act, che mirava a regolamentare la materia e rendere pubblico ogni pagamento ricevuto dai medici Americani. I report di questa analisi dimostravano che circa il 50% dei medici riceveva finanziamenti dall'industria.

La pubblicazione recente esamina la associazione tra l'aver ricevuto emolumenti nell'arco di un triennio con la prescrizione di specifici farmaci, indagando nello specifico l'operato di oncologi coinvolti nella gestione di pazienti con neoplasia prostatica, renale, polmonare o LMC negli anni 2013-2015. Gli oncologi erano selezionati qualora avessero prescritto in oltre 10 pazienti un farmaco specifico. Le analisi degli emolumenti erano condotte tramite il registro OpenPayments e divisi in generici [regali, fees per consulenze o speaking, pasti, viaggi, alloggio, eventi educazionali], grant per ricerca, proprietà di stock options.

L'analisi è stat condotta su un campione di 2.776 prescrittori abituali, estratti da un campione di quasi 10.000 oncologi.

Tra gli oncologi che avevano ricevuto pagamenti per tre anni consecutivi si evidenziava un incremento prescrittivo se comparato ai medici mai retribuiti.

In particolare, tale incremento era quantificato nel 81% per i medici che seguivano pazienti con neoplasia renale [RR 1.81, 95% confidence interval [CI] 1.58–2.07], del 69% per gli oncologi polmonari [RR 1.69, 95% CI 1.58–1.82], del 22% per gli oncologi che trattavano pazienti con leucemia mieloide cronica [RR 1.22, 95% CI 1.08–1.39].

Non emergeva invece la associazione tra l'aver ricevuto emolumenti per tre anni di fila e la prescrizione nella patologia prostatica [RR 0.97, 95% CI 0.93–1.02].

Sebbene i professionisti che avessero ricevuto compensi superiori ai $100 per anno precrivessero maggiormente rispetto a quelli che non avevano ricevuto compensi, questa analisi potrebbe soffrire di vari bias. Non si è peraltro evidenziata una relazione lineare tra l'entità dei compensi ricevuti e l'incremento di prescrizioni.

Sebbene lo studio abbia molte limitazioni [il campione è limitato, non esiste verifica di appropriatezza nell'indicazione d'uso, le informazioni per i periodi esaminati non erano complete], il dato si allinea a quanto noto e nel complesso sottolinea l'importanza di entrare - con serenità di spirito e senza toni accusatori o di sfiducia nella classe medica - nel tema dei conflitti di interesse finanziari in sanità.

Mentre negli USA il Sunshine Act e la pubblicazione su OpenPayments sembrano aver iniziato a definire la materia, rimane il fatto che organismi quali NIH e NCCN richiedono financial disclosures per cifre differenti.

Anche in Italia la materia è complessa, ma in via di definizione: non manca certo un apparato normativo di riferimento, in cui spicca l'articolo 30 del codice di Deontologia Medica, la Legge 190/2012, le Linee Guida per l'adozione di Codici di Comportamento negli enti del SSN e la proposta di Legge Baroni 491 del 10 aprile 2018, attualmente in discussione.

Nel frattempo, rimane importante costruire consapevolezza nella percezione del rischio insito in ogni conflitto di interesse, facilitando la cultura collettiva sul tema e coinvolgendo pazienti e cittadini nella medesima griglia valoriale, con una condivisione di valori interpersonali [stima e fiducia], sociali [trasparenza, accountability, regole] e dei valori della ricerca clinica.