Miscellanea
Sabato, 25 Maggio 2019

Dagli studi al mondo reale: le nuove terapie migliorano la sopravvivenza nei registri di popolazione?

A cura di Massimo Di Maio

Un’analisi statunitense descrive i cambiamenti dell’aspettativa di vita dei pazienti con tumori avanzati: a valle della disponibilità di nuovi farmaci i miglioramenti ci sono, ma in un sistema regolato dalle assicurazioni rischiano di non essere per tutti.

Pulte D, Weberpals J, Jansen L, Brenner H. Changes in population-level survival for advanced solid malignancies with new treatment options in the second decade of the 21st century. Cancer. 2019 May 16. doi: 10.1002/cncr.32160. [Epub ahead of print] PubMed PMID: 31095726.

Come noto, negli ultimi anni sono stati approvati per l’impiego nella pratica clinica, sulla base dei risultati delle sperimentazioni cliniche, numerosi farmaci per il trattamento di pazienti con tumori in stadio avanzato. Trattandosi spesso di trattamenti introdotti nella pratica clinica negli ultimi anni, non è ancora noto il reale impatto sulla sopravvivenza dei pazienti trattati nel “real world”.

Questi ultimi rappresentano una popolazione necessariamente eterogenea rispetto alla casistica selezionata eleggibile per le sperimentazioni cliniche, e la diluizione dell’effetto potrebbe essere un problema, specialmente nei casi in cui il beneficio dimostrato nella sperimentazione clinica è di entità modesta.

In generale, sono pochi gli studi che provano a documentare la cosiddetta effectiveness dei trattamenti nel “real world” (contrapposta all’efficacy dimostrata negli studi clinici).

Gli autori della recente pubblicazione su Cancer hanno preso in considerazione i tumori per i quali la Food and Drug Administration statunitense avesse approvato 2 o più farmaci nel periodo compreso tra il 2009 e il 2011. Nel dettaglio, sono stati inclusi nell’analisi:

  1. l’adenocarcinoma del polmone, che nel periodo indicato aveva visto l’approvazione di crizotinib per i casi ALK+, erlotinib per i casi EGFR+, pemetrexed come terapia di mantenimento al completamento della prima linea;
  2. il melanoma, che nel periodo indicato aveva visto l’approvazione di ipilimumab e vemurafenib;
  3. il tumore neuroendocrino del pancreas (approvazione di everolimus e sunitinib), anche se i casi di tale patologia erano in numero troppo esiguo per consentire analisi affidabile;
  4. il tumore della mammella (approvazione di lapatinib ed eribulina);
  5. il tumore del rene (approvazione di pazopanib, bevacizumab ed everolimus);
  6. il carcinoma della prostata (approvazione di sipuleucel-T, abiraterone e cabazitaxel).

Tumore del polmone a piccole cellule (SCLC) e tumore dell’urotelio sono stati scelti come controllo, non avendo visto approvazione di nuovi farmaci nel periodo di tempo considerato.

Gli autori hanno impiegato per l’analisi i dati del registro SEER (Surveillance, Epidemiology, and End Results), considerando i pazienti registrati in 3 periodi consecutivi:

  • 2007 - 2008,
  • 2009 - 2010,
  • 2011 - 2012.

L’analisi di sopravvivenza globale è stata realizzata con modelli che prendevano in considerazione alcuni fattori prognostici noti. Oltre all’analisi condotta nella popolazione complessiva, gli autori hanno considerato analisi di sottogruppo basate sui soli pazienti giovani, nonché sui pazienti che potessero godere di una copertura assicurativa diversa da Medicaid, il programma federale sanitario degli Stati Uniti d'America che provvede a fornire aiuti agli individui e alle famiglie con basso reddito salariale. Scopo di questa analisi di sottogruppo era quello di documentare se il miglioramento nel tempo sia effettivamente diverso a seconda del tipo di copertura assicurativa (e quindi della maggiore o minore copertura garantita in termini di farmaci ad alto costo).

Endpoint erano:

  • la stima della sopravvivenza a 2 anni.
  • L’hazard ratio per mortalità cancro-specifica.

Sono stati analizzati:

  • 4738 pazienti con diagnosi di melanoma avanzato;
  • 46093 pazienti con diagnosi di non-small cell lung cancer adenocarcinoma metastatico;
  • 11653 pazienti con diagnosi di tumore del rene metastatico;
  • 18465 pazienti con diagnosi di tumore della mammella metastatico;
  • 22862 pazienti con diagnosi di tumore della prostata avanzato.

La sopravvivenza a 2 anni è aumentata, nel periodo di tempo considerato, per i pazienti con adenocarcinoma polmonare in stadio avanzato (+3.0 punti percentuali), per i pazienti con melanoma avanzato (+ 3.4 punti percentuali), per i pazienti con tumore della prostata (+ 3.2 punti percentuali) e per le pazienti con carcinoma della mammella (+2.7 punti percentuali; 3.5% punti percentuali nei casi HER2 positivi).

Considerando i pazienti di età compresa tra 15 e 64 anni, la sopravvivenza a 2 anni è aumentata, per i pazienti affetti da melanoma avanzato, di 6.7 punti percentuali.

Non è stato osservato un cambiamento significativo nella sopravvivenza a 2 anni per i pazienti affetti da tumore del rene.

L’analisi della sopravvivenza cancro-specifica ha documentato un prolungamento significativo confrontando i pazienti trattati nel periodo 2011-2012 rispetto ai pazienti trattati nel periodo 2007-2008, per adenocarcinoma del polmone, melanoma e carcinoma della mammella.

L’analisi delle patologie scelte come controllo (SCLC e tumore uroteliale) non ha evidenziato alcun miglioramento della sopravvivenza nel periodo di tempo considerato.

In molti dei tumori considerati, il miglioramento nella probabilità di sopravvivenza a 2 anni risultava migliore quando l’analisi era condotta sui soli soggetti che potevano contare su una copertura assicurativa diversa da Medicaid.

I risultati presentati nella pubblicazione forniscono dei segnali incoraggianti di miglioramento della sopravvivenza per i pazienti affetti da diversi tipi di neoplasia solida in stadio metastatico, per i quali, negli ultimi anni, sono entrati in pratica clinica nuovi farmaci.

Punto di forza dell’analisi è la disponibilità del database SEER, che consente di lavorare su dati di popolazione molto numerosi, consentendo un’analisi basata su grandi numeri di pazienti pur essendo il confronto limitato a un arco temporale relativamente breve.

Gli autori riconoscono, peraltro, che il database contiene pochi dettagli sul tipo di trattamento effettivamente ricevuto, e non consente quindi di descrivere, a livello individuale, l’associazione tra l’impiego di uno specifico tipo di farmaco e l’outcome.

Inoltre, come sempre accade in questo tipo di confronti storici, è chiaro che il miglioramento della prognosi nei pazienti trattati più recentemente può essere, almeno in parte, dovuto a “lead-time bias” vale a dire all’anticipazione diagnostica garantita dalla disponibilità di tecniche strumentali diagnostiche sempre più sensibili. Peraltro, è poco plausibile che tale bias possa spiegare miglioramenti significativi in un arco di tempo relativamente ristretto quale quello considerato nell’analisi.

In sintesi, il segnale descritto dall’analisi è sicuramente incoraggiante, ma al tempo stesso impone di sottolineare l’importanza degli studi di “real world”, in quanto, specialmente nel caso di trattamenti che abbiano prodotto risultati modesti nell’ambito delle sperimentazioni cliniche, non è affatto scontato che tale beneficio si riproduca anche nell’eterogenea popolazione di pazienti trattati nella pratica clinica.

Da sottolineare la scelta degli autori, in un sistema sanitario come quello statunitense basato sulla copertura assicurativa di ciascun paziente, di analizzare la sopravvivenza in funzione del tipo di copertura assicurativa. Tale analisi ha documentato alcune differenze, con un miglioramento spesso numericamente più rilevante rispetto al miglioramento osservato nella popolazione complessiva. I benefici, quindi, rischiano di non essere per tutti i pazienti, ma solo per quelli che “se lo possono permettere”: un ulteriore elemento che ci spinge a riflettere su quanto sia prezioso un sistema sanitario universalistico come quello italiano.