Miscellanea
Sabato, 23 Gennaio 2016

La neutropenia febbrile è più frequente nella pratica clinica rispetto a quanto riportato negli studi?

A cura di Massimo Di Maio

Una metanalisi ha confrontato, per vari schemi di chemioterapia, l’incidenza di neutropenia febbrile negli studi randomizzati rispetto a quella poi riportata nella pratica clinica, riscontrando un’incidenza reale spesso più elevata rispetto al setting selezionato degli studi.

Truong J, Lee EK, Trudeau ME, Chan KK. Interpreting febrile neutropenia rates from randomized controlled trials for consideration of primary prophylaxis in the real world: A systematic review and meta-analysis. Ann Oncol. 2015 Dec 27. pii: mdv619. [Epub ahead of print] Review. PubMed PMID: 26712901.

Le attuali linee guida raccomandano la profilassi primaria con fattori di crescita quando si usano schemi di chemioterapia che siano risultati associati a un’incidenza di neutropenia febrile maggiore del 20%, o maggiore del 10% in presenza di fattori di rischio.

L’informazione relativa a tale incidenza viene di regola ricavata dagli studi randomizzati che hanno testato quegli schemi. Peraltro, è convinzione comune che, rispetto ai pazienti selezionati inseriti nelle sperimentazioni, la popolazione meno selezionata trattata nella pratica clinica possa essere esposta a un maggior rischio di alcune tossicità.

Con l’intento di verificare l’esistenza di tale differenza di incidenza (a parità di schema di chemioterapia) tra il setting selezionato degli studi randomizzati e la successiva pratica clinica, un gruppo di autori canadesi ha eseguito una revisione sistematica della letteratura, basandosi sugli studi pubblicati (randomizzati oppure osservazionali) che abbiano descritto l'incidenza di neutropenia febbrile con gli schemi di chemioterapia per tumore della mammella.

Gli articoli erano eleggibili:

  • se pubblicati tra il gennaio 1996 ed il febbraio 2014;
  • se riportavano l’incidenza di neutropenia febbrile;
  • se, per un determinato schema di chemioterapia, fosse pubblicato almeno uno studio randomizzato e almeno un’esperienza osservazionale.

Una tecnica di meta-regressione è stata usata per analizzare la relazione tra l’incidenza di neutropenia febbrile negli studi randomizzati e negli studi osservazionali.

Complessivamente, sono stati inclusi nell’analisi 65 studi osservazionali, per un totale di 7812 pazienti, e un totale di 110 studi randomizzati, per un totale di 42257 pazienti.

L’incidenza complessiva di neutropenia febrile è risultata pari a 11.7% negli studi osservazionali e 7.9% negli studi randomizzati. All’analisi univariata, il rischio di sviluppare neutropenia febbrile è risultato significativamente più alto negli studi osservazionali rispetto agli studi randomizzati: Odds Ratio 1.58, intervallo di confidenza al 95% 1.09 – 2.28, p=0.017.

All’analisi multivariata che includeva l’età, l’intento della chemioterapia (adiuvante o per malattia avanzata) e lo schema di chemioterapia, si è confermata la maggiore incidenza di neutropenia febbrile negli studi osservazionali rispetto agli studi randomizzati: Odds Ratio 1.74, intervallo di confidenza al 95% 1.15 – 2.62, p=0.012.

La suddetta Odds Ratio equivale a dire che il 13% di incidenza di neutropenia febbrile in uno studio randomizzato corrisponderebbe poi al 20% di incidenza nella pratica clinica (cutoff suggerito dalle linee guida per l’adozione della profilassi con fattori di crescita).

Il risultato della metanalisi pubblicata dagli autori canadesi su Annals of Oncology non è sorprendente: è ragionevole che, rispetto alla popolazione di pazienti inevitabilmente selezionati (in termini di età, patologie concomitanti, performance status) inclusi negli studi randomizzati (specialmente in quelli che prevedono l’impiego di schemi di trattamento “impegnativi” in termini di tossicità), la popolazione meno selezionata trattata nella pratica clinica sia più esposta al rischio di tossicità.

Le conclusioni degli autori vanno però valutate con la dovuta cautela: l’associazione da loro riscontrata suggerisce in pratica che anche schemi di chemioterapia che negli studi randomizzati hanno prodotto un’incidenza di neutropenia febbrile inferiore al 20% (in particolare, dal 13% in su) potrebbero nella realtà essere associati al 20% di incidenza.

Tale risultato, a nostro avviso, non va letto come un invito a riformulare arbitrariamente il cutoff indicato dalle linee guida per la profilassi primaria con fattori di crescita. Va letto invece come un monito a tener presente che le tossicità nel mondo reale possono essere maggiori rispetto agli studi pubblicati, modificando il rapporto tra rischi e benefici del trattamento, e imponendo un’accurata valutazione di tale rapporto e dei fattori di rischio individiduali.

Gli autori concludono quindi invitando i responsabili delle linee guida sull’impiego dei fattori di crescita ad esplicitare meglio le fonti da cui desumere l’incidenza attesa di neutropenia febbrile, in considerazione delle discrepanze (a volte non piccole) tra pratica clinica e sperimentazioni.