Miscellanea
Sabato, 08 Agosto 2020

Luci ed ombre dei “basket trials” nell’era dell'oncologia di precisione

A cura di Massimo Di Maio

Gli studi basati sulla presenza di un’alterazione molecolare piuttosto che sull’organo di origine del tumore sono ormai numerosi. Al di là dei dubbi sull’interpretazione, quello che vent’anni fa sembrava fantascienza, oggi è realtà.

April K. S. Salama, Shuli Li, Erin R. Macrae, Jong-In Park, Edith P. Mitchell, James A. Zwiebel, Helen X. Chen, Robert J. Gray, Lisa M. McShane, Larry V. Rubinstein, David Patton, P. Mickey Williams, Stanley R. Hamilton, Deborah K. Armstrong, Barbara A. Conley, Carlos L. Arteaga, Lyndsay N. Harris, Peter J. O’Dwyer, Alice P. Chen, and Keith T. Flaherty. Dabrafenib and Trametinib in Patients With Tumors With BRAFV600E Mutations: Results of the NCI-MATCH Trial Subprotocol H. Journal of Clinical Oncology, published online August 6 2020

Negli ultimi anni abbiamo assistito all’evoluzione della metodologia delle sperimentazioni cliniche in ambito oncologico, parallelamente allo sviluppo di farmaci a bersaglio molecolare. Da vari anni, si è introdotto il concetto di studi non più basati, nella selezione dei pazienti, sulla classica istologia del tumore (vale a dire sul suo organo di origine) ma sulla presenza di una specifica alterazione molecolare, anche in tipi diversi di tumori. Questo concetto che, circa 20 anni fa, nelle parole di Jaap Verweij appariva futuristico e azzardato, è stato concretamente applicato in numerosi studi negli ultimi anni.

Le mutazioni BRAFV600 sono riscontrate in numerosi tipi di tumori. In alcuni casi, come nel melanoma e più recentemente nel tumore del polmone, l’attività della combinazione dell’inibitore di BRAF dabrafenib e dell’inibitore di MEK1/2 trametinib è dimostrata, ed ha portato alla registrazione per l’impiego nella pratica clinica. In altri tumori, la reale predittività dell’alterazione molecolare sull’attività e l’efficacia della combinazione non è stata ancora dimostrata.

Lo studio NCI-MATCH nasce anni fa come un ambizioso progetto di “platform trial”, vale a dire di studio disegnato per testare, in parallelo, più trattamenti in base all’alterazione molecolare identificata allo screening dei pazienti. Questi studi, come è noto, sono volutamente disegnati per subire modifiche del disegno nel tempo, con l’apertura di nuovi bracci in base alla disponibilità di nuovi trattamenti, o la chiusura di bracci in caso di evidenza di insufficiente attività del trattamento.

Il “subprotocol H” (EAY131-H) dello studio NCI-MATCH era disegnato come studio a singolo braccio, in aperto. Obiettivo dello studio era quello di studiare l’attività della combinazione di dabrafenib e trametinib in tipi tumorali diversi da quelli nei quali tale combinazione era stata già precedentemente studiata. Di conseguenza, erano esclusi pazienti con melanoma, tumore della tiroide e tumore del colon-retto. I pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule erano inizialmente eleggibili, ma successivamente alla dimostrazione di attività della combinazione in questa indicazione lo studio è stato emendato per escluderli.

I pazienti eleggibili hanno ricevuto dabrafenib alla dose di 150 mg due volte al giorno e trametinib alla dose di 2 mg al giorno, tutti i giorni, fino alla progressione di malattia o alla tossicità inaccettabile.

Endpoint primario dello studio era la proporzione di risposte obiettive (objective response rate, ORR), valutata centralmente.

Endpoint secondari erano la sopravvivenza libera da progressione (progression-free survival, PFS), la PFS a 6 mesi e la sopravvivenza globale.

Complessivamente, lo studio ha arruolato 35 pazienti, dei quali 29 sono stati inclusi nell’analisi primaria di efficacia.

L’età mediana era pari a 59 anni, e si trattava di una popolazione nel complesso ampiamente pretrattata (il 45% dei pazienti aveva infatti ricevuto almeno 3 precedenti linee di trattamento).

Nella popolazione complessiva è stata registrata una proporzione di risposte obiettive confermate pari al 38% (intervallo di confidenza al 90% compreso tra 22.9% e 54.9%). Tale proporzione ha consentito di rifiutare l’ipotesi nulla (che corrispondeva al 5% di risposte), p<0.0001.

La sopravvivenza libera da progressione (PFS) mediana è risultata pari a 11.4 mesi (intervallo di confidenza al 90%, 8.4 – 16.3 mesi).

Le risposte obiettive sono state osservate in 7 distinti tipi di tumori.

Le risposte sono state caratterizzate da una discreta durata: 7 pazienti hanno ottenuto una durata della risposta superiore ai 12 mesi, e 4 di loro hanno ottenuto una durata della risposta superiore a 24 mesi.

In aggiunta ai pazienti che hanno ottenuto una risposta obiettiva, ulteriori 8 pazienti hanno ottenuto una sopravvivenza libera da progressione superiore ai 6 mesi.

La sopravvivenza globale mediana è risultata pari a 28.6 mesi.

La tossicità registrata con la combinazione è risultata coerente con il profilo di eventi avversi già noto dai precedenti studi.

Gli autori sottolineano che lo studio si è concluso con un risultato positivo, in quanto la proporzione di risposte obiettive è risultata nettamente superiore all’ipotesi nulla, e tale risultato è statisticamente significativo.

Un valore clinico probabilmente ancora maggiore è dato dal fatto che, come ribadito dagli autori, la popolazione di pazienti inseriti in studio era ampiamente pretrattata.

Sulla base di tali risultati, gli autori concludono che l’attività osservata è promettente per la combinazione di dabrafenib e trametinib nei casi selezionati per la presenza della mutazione BRAF V600.

Negli ultimi anni, abbiamo assistito ad approvazioni di farmaci oncologici con indicazioni cosiddette “agnostiche”, vale a dire indipendentemente dal tipo di tumore e sulla base della presenza di una specifica alterazione molecolare. Tale approccio si basa sul razionale che la presenza della alterazione sia un driver così forte per la biologia del tumore da prevalere sull’inevitabile eterogeneità biologica di tipi diversi di tumore.

Come si interpreta, quindi, un risultato come quello osservato in questo studio? E’ inevitabile sottolineare che i singoli tipi di tumore erano rappresentati con pochissimi pazienti, quindi è impossibile stimare con precisione l’attività del trattamento sperimentale nelle singole istologie tumorali.

Qualcuno dirà che è proprio questa l’innovatività del disegno. Peraltro, esperienze passate legittimano qualche dubbio. Ad esempio, lo studio pubblicato qualche anno fa con il vemurafenib (inibitore BRAF) in pazienti con vari tipi di tumori accomunati solo dalla presenza della mutazione V600, diversi dal melanoma nel quale l’attività era già dimostrata, è stato molto istruttivo in tal senso (Hyman DM, et al. N Engl J Med. 2015 Aug 20;373(8):726-36.) Infatti, quello studio ha evidenziato che il farmaco produceva elevate risposte in alcuni tipi di tumore, ma un’attività assolutamente insoddisfacente in altri tipi di tumore. In quell’occasione, gli autori concludevano che l’attività promettente evidenziata in uno studio basket necessita poi conferma in ulteriori studi.

Una possibilità, non per negare l’approccio innovativo ma per poterlo tradurre con maggiore confidenza in decisioni regolatorie e cliniche, potrebbe essere quella di espandere le coorti di pazienti con tipi di tumori nei quali il trattamento evidenzia buona attività, scartando invece le indicazioni nei quali non si evidenzi attività alcuna.

Insomma, “adelante, con juicio…”