Miscellanea
Giovedì, 14 Marzo 2024

Pianificare nel percorso di cura un supporto psicosociale condiviso: quali sono i risultati?

A cura di Giuseppe Aprile

Depressione, dolore e fatigue spesso impattano negativamente sulla qualità della vita del paziente oncologico. Riferire i pazienti ai professionisti dopo un test di screening è poco utile. Ma allora che fare? Un trial nordamericano testa il beneficio di un supporto emotivo condiviso e proattivo, iniziato anche in parallelo alle cure oncologiche, che coinvolga malati e caregivers. 

Steel JL, et al. Patient, family caregiver, and economic outcomes of an integrated screening and novel stepped collaborative care intervention in the oncology setting in the USA (CARES): a randomised, parallel, phase 3 trial. Lancet 2014, epub March 12.

Oltre il 50% dei pazienti oncologici entra in una spirale di sintomi depressivi, fatigue e sintomatologia dolorosa. Questi disturbi non solo impattano negativamente sulla qualità di vita dei malati, ma ne riducono l'aderenza e la compliance ai trattamenti, impattando negativamente sull'outcome e sono un'importante causa di stress da (over)utilizzo dei sistemi sanitari dove producono un aumento di prestazioni e costi.

Abitualmente si usa la "tecnica del termometro": i pazienti sono screenati per la comparsa di sintomi depressivi, di fatigue/astenia e sono frequentemente valutati con scale validate per la comparsa di dolore. Qualora la valutazioni rientri in range "preoccupanti", sono riferiti a professionisti dedicati. Tuttavia, lo screening abituale e il successivo referral ai professionisti non sembra essere una tecnica di grande successo, rispondendo in modo parziale al bisogno assistenziale dei pazienti e dei familiari, avendo un impatto modesto in termini di qualità di vita e limitando solo in parte l'accesso alle strutture ospedaliere.

Con queste premesse è stato disegnato il trial CARES, uno studio di fase III randomizzato con gruppi paralleli condotto in 29 centri oncologici nordamericani. Obiettivo della sperimentazione era quello di verificare se un approccio innovativo - costituito da un supporto proattivo condiviso con sessioni settimanali di terapia cognitico-comportamentale condotta con l'ausilio di operatori sanitari adeguatamente addestrati e l'accesso a un website di supporto - fosse superiore all'approccio standard in pazienti con inziali sintomi depressivi (punteggio CESD >15), astenia o dolore.

Endpoint primario del trial era la healt-related QOL a sei mesi, verificata anche nel suo mantenimento a 12 mesi con una analisi ITT, che includeva pazienti persi al follow-up.

Tra l'inizio del 2017 e la primavera 2021 sono stati arruolati a partecipare allo studio 459 pazienti e 190 caregivers.

Da notare che il 40% dei pazienti aveva una malattia in stadio IV, almeno un terzo dei pazienti non assumeva alcun trattamento oncologico e almeno il 35% dei pazienti inclusi aveva una pregressa condizione psico-sociale favorente (stato ansioso-depressivo, uso/abuso di alcolici, distress posttraumatico, disturbi del sonno, ecc).

I pazienti assegnati al braccio sperimentale di "stepped collaborative care" hanno riportato un maggiore miglioramento nella health-related quality of life a sei mesi rispetto a quello documentato per il gruppo di pazienti assegnati all'approccio standard (p=0∙013, effect size 0.09); questo rimaneva confermato per tutti gli ambiti di benessere considerati (emotivo p=0·012, funzionale p=0·042, fisico p=0·033). Inoltre, la maggiore efficacia dell'approccio proattivo e compartecipato rispetto a quella dell'approccio standard si è confermata anche a 12 mesi (p=0∙74, effect size 0∙01). 

Lo studio ha il merito di sottolineare quanto sia importante disegnare una cura olistica davvero centrata sui bisogni assistenziali del apziente oncologico, con una particolare attenzione alla genesi di sintomi che impattano negativamente sull'outcome dei trattamenti e limitano l'aderenza alle cure innovative.

L'approccio psicosociale proattivo proposto - economico, ma piuttosto articolato se analizzato in dettaglio e di difficile applicazione in un contesto dove scarseggiano i professionisti sociosanitari dedicati - sembra più vantaggioso di quello usuale nel migliorare lo stato ansioso-depressivo, la fatigue e la percezione algica che spesso i pazienti riferiscono e, in sintesi, più efficace nel migliorare la QoL. Inoltre, produce interessanti effetti secondari: 1. un risparmio economico, riducendo accessi (spesso non programmati) a strutture sanitarie per bisogni di salute insoddisfatti; 2. un minore distress nei caregivers, indirettamente misurato con un decremento nel rischio di malattie cardiovascolari.

Ma questo sarà sufficiente per creare una nuovo modello applicabile su larga scala? O nonostante l'impegno delle società scientifiche e (in parte) delle istituzioni anche questa evidenza randomizzata incontrerà grandi difficoltà nella traduzione in pratica clinica, come già successo per le cure simultanee proposte nel trial della Temel 15 anni fa?

Vi sono anche dei limiti nello studio, che devono esere ricordati.

Il trial analizza il beneficio dell'intervento su tre sintomi importanti, ma che non coprono certamente l'intero spettro di disturbi riferiti dal paziente oncologico.

Se il campione incluso nel trial sia davvero rappresentativo della realtà internazionale rimane poco chiaro (solo 10 % di pazienti con patologia mammaria, meno di 2% di pazienti con patologia prostatica).

E l'approccio psicosociale proposto è davvero così innovativo? Non pare, considerato che già 25 anni fa un simile intervento sanitario sembrava portare vantaggio nella popolazione con sintomi depressivi valutata nel contesto della primary care (Katon W, et al. Stepped collaborative care for primary care patients with persistent symptoms of depression: a randomized trial. Arch Gen Psychiatry 1999).