Nel panorama delle cure oncologiche, la centralità del paziente è indiscussa, ma il benessere di chi lo accompagna e lo sostiene, spesso per ore in ambienti caratterizzati da stress e ansia, rimane un tema poco esplorato. Questo studio porta l’attenzione su una figura a volte trascurata: il caregiver che, durante le sessioni di terapia infusionale (chemioterapia ed altri farmaci oncologici), affronta un carico emotivo e fisico notevole. La musica, già dimostratasi capace di modulare lo stato d’animo dei pazienti, può estendere i suoi benefici anche a chi li assiste? Harper e colleghi hanno indagato questo quesito con un trial clinico randomizzato e multicentrico su più di duecento caregiver, proponendo a una parte di loro l’ascolto per un’ora di musica autoselezionata durante l’infusione. I risultati, per alcuni versi attesi e per altri sorprendenti, delineano un nuovo possibile impiego della musica come strumento terapeutico accessorio, a basso costo e senza rischi, nel contesto oncologico.
Harper FWK, et al. What About the Caregivers? Music Medicine as a Tool for Improving Psychological Well-Being Among Caregivers During Cancer Chemotherapy Treatment. JCO Oncol Pract 2025:OP2400818. doi: 10.1200/OP-24-00818.
Numerosi studi hanno dimostrato che interventi musicali, sia nella forma di musicoterapia (guidata da terapeuti) sia come music medicine (musica somministrata da personale sanitario), sono in grado di ridurre ansia, stress e sintomi fisici, migliorando il benessere nei pazienti oncologici durante la chemioterapia. Tuttavia, l’effetto di questi interventi sui caregiver rimane scarsamente indagato, sebbene la loro esposizione a distress, ansia e stanchezza cronica sia ben documentata.
Lo studio di Harper et al. è stato disegnato per valutare l’impatto di una sessione di 60 minuti di music medicine sul benessere psicologico dei caregiver durante le infusioni, considerando anche le interazioni emotive con i pazienti attraverso modelli diadici.
Sono stati arruolati 227 caregiver e altrettanti pazienti adulti (≥18 anni), tutti in grado di comprendere l’inglese e con sufficiente capacità uditiva. Il reclutamento è avvenuto in sei centri (Karmanos Cancer Institute, Detroit, e cinque cliniche McLaren Health in Michigan) tra febbraio 2018 e marzo 2020.
Disegno dello studio: trial clinico randomizzato, open-label, con randomizzazione a blocchi giornalieri permutati: chi veniva arruolato in giornate designate come “musicali” riceveva l’intervento, mentre chi partecipava nei giorni “non musicali” fungeva da controllo (active waitlist). Nel braccio sperimentale, ciascun membro della diade sceglieva un genere musicale (Motown, successi degli anni ’60-’80, classica, country o grandi interpreti) e riceveva un iPod Shuffle con circa 150 brani (fino a 500 minuti complessivi). Era richiesto l’ascolto per 60 minuti consecutivi durante l’infusione, con durata effettiva media di 55.55 ± 10.97 minuti. Il gruppo di controllo completava le stesse valutazioni pre e post su un intervallo temporale equivalente, senza ascolto musicale. Entrambi i gruppi ricevevano una gift card da 10 dollari come compenso.
Gli endpoint primari erano le variazioni pre-post di umore positivo e negativo (Positive and Negative Affect Scale, punteggi 10-50) e di distress (Distress Thermometer, punteggio 0-10). Sono stati raccolti dati su variabili socio-demografiche, livello di istruzione, reddito, eventuale formazione musicale, ansia e depressione basali (Hospital Anxiety and Depression Scale, HADS; sottoscale 0-21). Le analisi statistiche hanno incluso test t a due code (con correzione di Holm per confronti multipli), calcolo di Cohen’s d con IC95% per la significatività clinica, regressioni lineari multivariate con selezione LASSO e modelli Actor-Partner Interdependence (APIM) per misurare gli effetti individuali e diadici. Il calcolo della potenza, basato su 225 coppie analizzabili, garantiva >95% di potere per rilevare un effetto medio (correlazione di 0.3) con α bilaterale del 5%.
La popolazione analizzata (N=227 caregiver) presentava un’età media di 57.52 anni; il 68% erano donne, il 73% bianchi non ispanici e il 71% riferiva di ascoltare musica spesso o sempre. Nel braccio sperimentale, i generi musicali più scelti erano hit anni ’80 (29%) e grandi interpreti come Sinatra o Presley (18%). Il tempo medio di ascolto effettivo è stato di 55.55 minuti.
Non sono state osservate differenze significative tra i gruppi nei punteggi medi pre e post intervento per umore positivo, umore negativo e distress (tutti P >0.05). Tuttavia, le variazioni intra-soggetto hanno mostrato effetti significativi:
Le analisi multivariate non hanno individuato predittori significativi per il distress; per l’umore positivo, l’unico fattore associato era l’appartenenza al gruppo intervento (P<0.001). Per l’umore negativo, sono risultati correlati la razza (afroamericani, P=0.033), l’ansia basale (P=0.019) e la depressione basale (P=0.004).
I modelli APIM hanno evidenziato effetti “attore” robusti (d ≥1.0–1.6) per tutte le dimensioni considerate (umore positivo, negativo e distress): chi ascoltava musica sperimentava miglioramenti significativi indipendentemente dallo stato emotivo del partner. Gli effetti “partner” sono risultati deboli o trascurabili, con trend per l’umore negativo (P=0.052) e modeste influenze reciproche (Cohen’s d <0.02), senza significatività clinica. Per il distress, il caregiver influenzava moderatamente il paziente (P<0.05; Cohen’s d=0.14), indipendentemente dal gruppo di assegnazione
Questo studio evidenzia che una singola sessione di 60 minuti di musica autoselezionata, somministrata durante l’infusione farmaci oncologici, è in grado di migliorare significativamente l’umore positivo e di ridurre il distress dei caregiver, pur senza modificare in modo rilevante l’umore negativo. L’effetto è consistente a livello individuale, con un impatto che non dipende dallo stato emotivo del paziente né da variabili socio-demografiche o abitudini musicali, ma appare limitato a una modulazione personale delle emozioni più che a un rafforzamento dell’interazione diadica. La natura semplice, economica e sicura dell’intervento suggerisce un potenziale utilizzo routinario nei setting oncologici, specialmente nei contesti di terapia infusionale, per alleviare il carico psicologico degli accompagnatori e favorire un ambiente di cura più sereno.
La solidità del disegno, basato su un campione ampio e multicentrico, l’uso di strumenti psicometrici validati e analisi statistiche avanzate conferiscono robustezza ai risultati e ne supportano la generalizzabilità. L’intervento è facilmente replicabile e non richiede risorse specialistiche, il che ne facilita l’applicazione pratica. Tuttavia, alcuni limiti meritano considerazione: l’impossibilità di cieco e la natura open-label possono introdurre bias di aspettativa; l’efficacia è stata valutata solo per una sessione, senza dati su effetti prolungati o cumulativi; gli outcome non includevano misure fisiologiche o impatti indiretti. Inoltre, l’assenza di effetti sull’umore negativo potrebbe indicare che questo aspetto richieda interventi complementari o più strutturati. Anche gli effetti diadici sono risultati modesti, forse perché i caregiver mantenevano il focus primario sul paziente, limitando l’impatto reciproco della musica sulla coppia.
Nel complesso, il lavoro suggerisce che la music medicine possa diventare uno strumento aggiuntivo per migliorare il benessere dei caregiver nei contesti oncologici, ma la ricerca futura dovrà approfondire durata degli effetti, potenziali benefici relazionali e integrazione con strategie di supporto più articolate.