Miscellanea
Venerdì, 05 Settembre 2025

Protoni: una nuova strategia terapeutica per le metastasi leptomeningeali

A cura di Fabio Puglisi

Le metastasi leptomeningeali (LM) rappresentano uno degli scenari clinici più drammatici e complessi in oncologia: il coinvolgimento diffuso degli spazi liquorali da parte di cellule tumorali porta a un corteo sintomatologico devastante e a una prognosi storicamente misurata in poche settimane o mesi. Radioterapia e terapia intratecale hanno finora fornito benefici modesti, limitandosi a un controllo sintomatico di breve durata. In questo contesto, il potenziale vantaggio di una irradiazione craniospinale completa appare evidente, ma i limiti di tossicità della radioterapia con fotoni hanno reso questa opzione difficilmente praticabile su larga scala. L’avvento della tecnologia protonica, capace di concentrare la dose sull’asse craniospinale riducendo l’esposizione dei tessuti circostanti, apre scenari nuovi. Il trial randomizzato qui presentato mette a confronto due strategie: la radioterapia convenzionale “a campo limitato” e l’irradiazione craniospinale con protoni. Un confronto apparentemente sbilanciato sul piano teorico, ma gravido di implicazioni cliniche. Gli endpoint non si limitano alla sopravvivenza libera da progressione a livello del sistema nervoso centrale, ma includono anche la sopravvivenza globale, la qualità di vita, le funzioni neurocognitive e persino l’analisi di biomarcatori come il DNA tumorale circolante nel liquor. I risultati, come vedremo, hanno avuto un impatto tale da determinare l’interruzione anticipata dello studio.

Yang JT, et al. Proton Craniospinal Irradiation for Patients With Leptomeningeal Metastasis: A Randomized Clinical Trial. JAMA Oncol 2025; doi: 10.1001/jamaoncol.2025.3007. Epub ahead of print. 

Lo studio è un trial randomizzato di fase II, multicentrico e open-label. Ha arruolato pazienti tra aprile 2020 e ottobre 2021.

Criteri di inclusione:  presenza di LM da carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) o da carcinoma mammario. Una coorte esplorativa ha incluso pazienti con LM da altri istotipi solidi.

I pazienti sono stati assegnati con randomizzazione 2:1 a ricevere:

  • pCSI (proton craniospinal irradiation): irradiazione con protoni mediante tecnica pencil beam scanning, comprendente l’intero compartimento liquorale cranio-spinale, alla dose di 30 Gy in 10 frazioni (3 Gy/frazione).
  • IFRT (involved-field radiotherapy): irradiazione con fotoni, a campo limitato (whole brain RT, RT focale spinale o combinazioni), sempre 30 Gy in 10 frazioni, diretta alle sedi di malattia sintomatica o voluminosa.

Tutti i pazienti hanno ricevuto memantina come profilassi neuroprotettiva.

Endpoint primario: CNS-PFS (progressione o morte). La progressione era definita su base clinica, radiologica secondo criteri RANO-Leptomeningeal Assessment, o citologica (CSF).
Endpoint secondari: OS, valutazioni di qualità di vita (MDASI-BT e MDASI-SP), funzione neurocognitiva (test di memoria, attenzione, esecutivi), variazione di ctDNA (liquor e plasma).

Il calcolo del campione prevedeva 81 pazienti con NSCLC/breast LM per un’ipotesi di incremento di CNS-PFS da 3 a 6 mesi (potenza 80%, alfa unilaterale 0.025). Era prevista un’analisi interinale: se P<0.002, il trial sarebbe stato interrotto per efficacia.

Caratteristiche della popolazione: 98 pazienti totali, età mediana 59 anni, 73.5% donne. Nella coorte randomizzata: 42 pCSI e 21 IFRT. L’86% aveva LM di nuova diagnosi; il 67% presentava citologia liquorale positiva; il 62% presentava coinvolgimento encefalico e spinale concomitante.

Al data cut-off finale, con follow-up mediano di 26.8 mesi, il trial ha confermato un beneficio significativo di pCSI.

  • CNS-PFS: mediana 8.2 mesi (IC95% 6.6–15.0) con pCSI vs 2.3 mesi (IC95% 1.2–4.0) con IFRT. HR 0.14 (IC95% 0.06–0.30), P<0.001. A 6 mesi, la CNS-PFS era 66% (IC95% 51–84) con pCSI vs 6% (IC95% 0.9–40) con IFRT.
  • OS: mediana 11.0 mesi (IC95% 7.5–18.0) con pCSI vs 4.9 mesi (IC95% 3.9–15.0) con IFRT. HR 0.43 (IC95% 0.22–0.81), P=0.03. Sopravvivenza a 6 mesi: 72% con pCSI vs 47% con IFRT.
  • Multivariata: pCSI confermava beneficio indipendente per CNS-PFS (HR 0.14; P<0.001) e OS (HR 0.43; P=0.03). Anche la stabilità della malattia sistemica era associata a outcome migliori (HR 0.52 per CNS-PFS; P=0.04).
  • Coorte esplorativa (35 pazienti, altri istotipi): CNS-PFS mediana 5.8 mesi (IC95% 4.4–9.1), OS mediana 7.0 mesi (IC95% 5.4–11.0).
  • Qualità di vita: nessuna differenza significativa nei punteggi MDASI, ma trend favorevole per pCSI su interferenza con vita quotidiana.
  • Neurocognizione: in un sottogruppo (12 pazienti pCSI), osservati cali precoci in velocità grafomotoria e memoria verbale, parzialmente recuperati a 6–12 mesi; nessun peggioramento significativo di attenzione e memoria di lavoro; miglioramento dei sintomi depressivi auto-riferiti.
  • ctDNA: riduzione del VAF in CSF nel 70% dei pazienti trattati con pCSI vs 38% in IFRT.

Questo studio rappresenta un vero punto di svolta nel trattamento delle metastasi leptomeningeali. Per la prima volta, un approccio radioterapico ha dimostrato un vantaggio significativo non solo in termini di controllo di malattia a livello del sistema nervoso centrale, ma anche di sopravvivenza globale, in una condizione clinica tradizionalmente considerata a prognosi infausta. Il beneficio appare sostanziale e robusto, confermato da analisi multivariate e coerente con i dati preliminari che avevano portato all’interruzione anticipata dello studio. La possibilità di trattare in maniera estesa e integrale l’intero compartimento liquorale grazie alla fisica dei protoni sembra colmare il gap lasciato dalla radioterapia convenzionale a campi limitati, troppo “parziale” per una malattia diffusamente disseminata.

Tuttavia, è necessario effettuare alcune considerazioni:

  • Il numero di pazienti rimane relativamente contenuto, dato che l'arruolamento è stato interrotto precocemente;
  • la generalizzabilità dei risultati è limitata dalla selezione dei centri e dall’accessibilità alla tecnologia protonica, ancora non disponibile su larga scala.
  • Alcuni segnali di tossicità neurocognitiva sono stati osservati, anche se parzialmente reversibili, e vanno valutati attentamente in una popolazione già fragile.
  • La coorte esplorativa mostra dati incoraggianti ma meno solidi, richiedendo conferme specifiche per istotipi diversi da mammella e polmone.
  • Importante anche il fatto che i pazienti con malattia sistemica stabile hanno tratto i maggiori benefici: un’indicazione preziosa per la selezione clinica.

In prospettiva, i risultati di questo trial spingono verso la ridefinizione del paradigma terapeutico della LM, aprendo la strada a studi di fase III già in corso. L’integrazione di pCSI con terapie sistemiche penetranti nel SNC e l’utilizzo di biomarcatori liquorali (ctDNA) potrebbero ulteriormente affinare la strategia, trasformando un contesto finora disperato in un ambito dove la terapia guadagna tempo e qualità di vita. La sfida sarà duplice: garantire l’accesso a questa tecnologia e identificare i pazienti che ne traggono massimo beneficio.