Miscellanea
Sabato, 06 Agosto 2022

Semplificare e armonizzare i criteri di inclusione per gli studi clinici: tra il dire e il fare…

A cura di Massimo Di Maio

Da anni si discute della necessità di semplificare ed armonizzare i criteri di inclusione negli studi clinici. L’argomento è oggetto di un interessante lavoro, dedicato in particolare agli studi di prima linea per il tumore del polmone avanzato, promosso dalla charity LUNGevity con il coinvolgimento di industria e agenzie regolatorie.

Gerber DE, Singh H, Larkins E, et al. A New Approach to Simplifying and Harmonizing Cancer Clinical Trials—Standardizing Eligibility Criteria. JAMA Oncol. Published online August 04, 2022. doi:10.1001/jamaoncol.2022.1664

Da vari anni, si discute della necessità di semplificare ed armonizzare i criteri di inclusione negli studi registrativi. Alcuni pazienti rimangono esclusi dall’opportunità di partecipare ad una sperimentazione clinica per criteri francamente discutibili, inseriti più per “inerzia” e per abitudine che per una reale esigenza clinica.

E’ il caso di alcune limitazioni nei parametri di laboratorio, come i valori dell’emoglobina o di altri parametri dell’emocromo. Restrizioni giustificate dall’effetto atteso della chemioterapia, ma molto meno giustificate se lo studio riguarda un farmaco immunoterapico o un farmaco target che non dovrebbero ragionevolmente dare tossicità midollare. Perché escludere il paziente se il valore delle piastrine è un po’ più basso della soglia comunemente considerata standard? Perché escluderlo se è anemico e con l’aiuto di una trasfusione ottiene un valore clinicamente accettabile?

Analogamente, perché escludere pazienti con infezioni da virus dell’epatite B, dell’epatite C o da HIV, se queste infezioni non comportano specificamente problemi per la somministrazione del farmaco in studio?

Ancora, perché escludere pazienti con performance status parzialmente compromesso (tipicamente, i pazienti con PS2 nella classificazione ECOG), se poi questi pazienti rappresentano una percentuale non trascurabile di casi da trattare nella pratica clinica?

Naturalmente, in molti casi sono gli sponsor di una sperimentazione a “spingere” per criteri più restrittivi, allo scopo di evitare che pazienti con caratteristiche più fragili, potenzialmente associati a rischio di tossicità o a una prognosi peggiore, possano diluire i risultati dello studio e mettere a rischio un potenziale risultato positivo in termini di efficacia e di tossicità. Peraltro, la validità esterna di uno studio è importante almeno quanto la validità interna. Per validità esterna si intende la possibilità di applicare il risultato dello studio alla popolazione della pratica clinica. La generalizzabilità del risultato è cruciale, eppure molti studi hanno ancora criteri restrittivi.

La pubblicazione su JAMA Oncology del lavoro di Gerber e colleghi porta all’attenzione per l’ennesima volta questo problema,

Il paper è frutto di un lavoro di gruppo promosso dalla charity LUNGevity e che ha coinvolto clinici, rappresentanti delle industrie farmaceutiche, il National Cancer Institute e le agenzie regolatorie sia statunitense (Food and Drug Administration) che europea (European Medicines Agency).

Il lavoro contiene una serie di raccomandazioni che puntano ad armonizzare la lista dei criteri di inclusione degli studi condotti nel setting di prima linea del tumore del polmone non a piccole cellule avanzato.

Gli autori identificano, in un ordine raccomandato per l’adozione nei protocolli di studio, 13 criteri:

1. Stadio di malattia. Per gli autori, questo dovrebbe essere il primo criterio di inclusione specificato nel protocollo, insieme ovviamente alle caratteristiche istologiche della malattia.
2. Biomarkers. Questo criterio è diventato oggi essenziale per molti protocolli, e spesso accanto alla alterazione molecolare ci sono specifiche sul test necessario per la diagnosi (centralizzato o eseguito in un laboratorio periferico). Come è facile immaginare, questo punto, che spesso complica le procedure di screening in uno studio, è stato oggetto di grande dibattito nel tavolo di lavoro, e le raccomandazioni su questo punto non entrano nel dettaglio relativamente al test richiesto per l’eleggibilità.
3. Performance status. E’ importante produrre dati di efficacia e tossicità anche in pazienti prognosticamente sfavoriti, come i pazienti con performance status 2.
4. Parametri ematologici. Se con i farmaci sperimentali non è attesa una rilevante tossicità midollare, le eccessive restrizioni nei criteri di inclusione non sono giustificate.
5. Metastasi encefaliche. Le raccomandazioni puntano a ridurre l’esclusione dei pazienti con metastasi encefaliche, nell’ottica di una maggiore aderenza a decisioni cliniche pragmatiche.
6. Funzione epatica. Il tavolo di lavoro si è posto il problema se indicare o meno dei valori soglia per le transaminasi, che comunque da sole non rappresentano un criterio universale di funzionalità epatica. L’eleggibilità dovrebbe ragionevolmente essere funzione delle informazioni note sul metabolismo del farmaco e sulla sua tossicità. Il draft del documento FDA non contiene valori soglia espliciti.
7. Funzione renale. Anche in questo caso, il draft del documento FDA non contiene valori soglia espliciti.
8. Funzione cardiaca. Andrebbero esclusi solo pazienti con problemi cardiaci significativi, anche se questa formulazione può essere equivoca in alcuni casi.
9. HIV. Andrebbe testato solo se rilevante per il farmaco in studio. I pazienti con infezione controllata non andrebbero esclusi.
10. Epatite virale. Idem.
11. Polmonite. Andrebbero esclusi solo se il rischio di tossicità con il farmaco sperimentale è veramente clinicamente significativo.
12. Altro. In questa categoria andrebbero inseriti criteri di esclusione specifici per il farmaco sperimentale, sia per gli effetti collaterali (es. patologie autoimmuni per i farmaci immunoterapici), sia per i rischi di interazione farmacologica.
13. Altri tumori precedentemente diagnosticati. Dovrebbero rappresentare un criterio di esclusione solo se francamente “dominanti” in termini prognostici, altrimenti i pazienti dovrebbero essere eleggibili.

L’armonizzazione dei criteri di inclusione dovrebbe innanzitutto semplificare la consultazione su motori di ricerca tipo Clinicaltrials.gov, rendendo più facilmente comprensibile l’eleggibilità di un paziente per uno studio clinico. Questa era infatti una delle esigenze esplicitamente invocate dagli autori della pubblicazione come rilevanti, insieme con la volontà di semplificare alcuni criteri indebitamente restrittivi, che in molti casi significano una chance negata per un paziente che potrebbe altrimenti beneficiarsi della partecipazione ad una sperimentazione clinica.

E’ evidente l’intento di rendere alcuni criteri di inclusione più pragmatici, ad esempio nel caso del performance status 2 o delle metastasi encefaliche, o della eventuale presenza di neoplasie precedentemente diagnosticate che tuttora escludono molti pazienti dagli studi, salvo poi doverli trattare nella pratica clinica.

Una maggiore generalizzabilità dei risultati passa attraverso operazioni di semplificazione dell’eleggibilità dei pazienti negli studi clinici. Questo aumenta la validità esterna dei risultati, oltre a semplificare l’accrual e a renderlo potenzialmente più veloce.