Miscellanea
Giovedì, 06 Ottobre 2016

Sindrome da burnout: agire sul singolo o sull’organizzazione?

A cura di Giuseppe Aprile

Ne soffre un terzo degli operatori sanitari e quasi il 50% dei medici. Lo sfinimento emotivo, la depersonalizzazione e la limitata realizzazione personale si associano a disturbi fisici e psicosomatici, impattando negativamente sul singolo e sulla collettività. Una review fa il punto sul tema: abbiamo imparato come prenderci cura di chi cura?

West CP, et al. Interventions to prevent and reduce physician burnout: a systematic review and meta-analysis. Lancet 2016 Epub ahead of print Sep 28

Descritta agli inizi degli anni 70, la sindrome da burnout è inquadrata nell’ambito dei disagi psicofisici legati allo stress lavorativo. Questa condizione è frequentemente riportata tra gli operatori sociali e sanitari e colpisce in particolare gli operatori sanitari. I medici che lavorano in campo oncologico, a causa della necessità professionale di assorbire emotività e tristezza, sono particolarmente a rischio. Tra i segni caratteristici della patologia vi è l’esaurimento emotivo, la progressive depersonalizzazione con atteggiamenti che tendono al cinismo, la demotivazione, la frustrazione e la ridotta soddisfazione professionale. A questo si aggiunge la somatizzazione con astenia, sintomi psicosomatici come uno stato ansioso-depressivo, con un aumentato rischio di abuso voluttuario e di tendenza autosoppressiva.

Non è solo l’aumento del carico lavorativo la causa del burnout (peraltro potenzialmente amplificato dall’incremento delle pratiche amminstrative e dalla informatizzazione), ma soprattutto un incolmabile senso di impotenza, l’assenza di coesione, aderenza e partecipazione ad un gruppo, il disadattamento, la mancanza di riconoscimento premiante del proprio impegno professionale e la presenza di conflittualità o di valori contrastanti tra il singolo professionista e l’organizzazione.

In ogni caso il burnout produce immediate effetti negativi sia a livello individuale che sul collettivo organizzativo, con pesanti ripercussioni sulla assistenza dei pazienti oltre che sulla disponibilità e sicurezza del servizio.

Nel lavoro recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista The Lancet, gli autori offrono una revisione sistematica della letteratura e una metanalisi di studi che hanno testato modalità per la prevenzione o la riduzione del fenomeno.

Dopo un’estensiva ricerca bibliografica che ha incluso sia trial randomizzati che studi di coorte che misurassero il distress con scale validate, la metodologia delle analisi condotte ha previsto la verifica della variazione dell’overall burnout status, dello score di esaurimento emotivo e dello score di depersonalizzazione. Sono stati usati modelli di random effects per calcolare le medie delle differenze in ogni singolo outcome (vedasi testo complete per un’accurata descrizione della metodologia statistica).

Nel complesso, partendo da un pool di oltre 2.600 articoli, sono stati analizzati 15 trial randomizzati (che includevano i dati relativi a 716 medici) e quelli di 37 studi di coorte (per un totale di quasi 3.000 medici), con un alto agreement tra i reviewer indipendenti (K=0.83).

La maggior parte degli studi randomizzati (12 su 15) testava misure individuali per la riduzione del burnout; solo 3, invece, proponevano come misura di prevenzione un intervento organizzativo (riduzione del numero o durata dei turni, diverse modifiche al processo lavorativo o ai flussi dei pazienti).

Le strategie di controllo del burnout sembrano nel complesso efficaci, consentendo una significativa riduzione dell’overall burnout status (riduzione assoluta del 10%, dal 54% al 44%, p<0.0001, I2=15%), dello score di esaurimento emotivo (p<0.0001, I2=82%) e, sebbene in misura inferiore, dello score di depersonalizzazione (p=0.01, I2=58%).

Nessuna misura applicata si dimostrava nettamente migliore di altre, suggerendo che il più efficace intervento possa prevedere sia un’azione sul singolo professionista (mindfulness, corsi di stress management, discussione in piccoli gruppi, interventi fisici) che dei correttivi strutturali sull’intera organizzazione. Non è stata studiata - come auspicato dagli autori stessi - la combinazione dei due livelli di strategia.

Il burnout rimane un importante problema tra gli operatori sanitari la cui prevenzione e riduzione nell’entità passa da interventi mirati sul professionista e dalla capacità di risposte organizzative strutturali della specifica unità operativa (Hlubocky FJ et al. Addressing burnout in oncology: why cancer care clinicians are at risk, what individuals can do, and how organizations can respond. 2016 ASCO Educational ASCO).

Sebbene nuovi studi siano necessari per definire la migliore strategia per limitare l’effetto negativo del distress sul singolo medico e le risultanti svantaggiose su pazienti e sistema sanitario, l’allineamento della griglia valoriale tra il singolo professionista e l’organizzazione ci pare un ottimo inizio.

In combinazione all’azione sulla capacità di resilienza individuale, sono quindi fondamentali le modifiche organizzative. Condividere i valori fondanti dell’equipe, aumentare la fiducia nella leadership e nel gruppo dei colleghi, comprendere i rapidi mutamenti del difficile contesto lavorativo in cui si opera, ingaggiare i singoli nel riconoscere i sintomi di allarme, diffondere la cultura del monitoraggio esterno del nostro livello di stress emotivo: forse non sono garanzia di soluzione, ma certamente rappresentano misure di significativo aiuto.