Miscellanea
Sabato, 17 Settembre 2016

Sotto i raggi del sole… meglio la protezione!

A cura di Massimo Di Maio

Anche dalle pagine del Journal of Clinical Oncology, uno studio di popolazione norvegese documenta che l’impiego di una protezione solare a fattore più alto riduce il rischio di melanoma. E se tutti la usassero, l’incidenza dei nuovi casi sarebbe ridotta del 18%.

Ghiasvand R, Weiderpass E, Green AC, Lund E, Veierød MB. Sunscreen Use and Subsequent Melanoma Risk: A Population-Based Cohort Study. J Clin Oncol. 2016 Sep 12. pii: JCO675934. [Epub ahead of print] PubMed PMID: 27621396.

In molte nazioni, l’incidenza di melanoma è rapidamente aumentata negli ultimi anni, più che per ogni altro tumore solido.

Vari studi caso-controllo sono stati condotti per valutare l’effetto protettivo delle protezioni solari, ma molti di essi sono stati condotti prima dell’introduzione degli schermi solari ad elevato fattore di protezione, e due metanalisi non hanno dimostrato un effetto protettivo significativo. Peraltro, uno studio randomizzato australiano, che ha confrontato l’impiego di una protezione solare con fattore 16 rispetto all’impiego di protezioni lasciato alla discrezione dei soggetti, ha documentato una riduzione significativa nell’incidenza di melanomi.

Al fine di quantificare l’associazione tra impiego di schermi solari con differente fattore di protezione e rischio di melanoma, gli autori dell’articolo pubblicato il 12 settembre 2016 sul Journal of Clinical Oncology hanno analizzato i dati del Norwegian Women and Cancer Study, uno studio prospettico di popolazione, che ha raccolto i dati relativi a 143844 donne, di età compresa tra 40 e 75 anni. Nel complesso, l’analisi si basa su 1532247 persone-anni di follow-up, con 722 casi di melanoma.

L’analisi multivariata ha consentito di stimare l’associazione tra l’impiego di schermi solari e il rischio di melanoma, dividendo le donne in 3 gruppi (nessun impiego di schermi protettivi, uso di schermi protettivi con fattore < 15, uso di schermi protettivi con fattore >=15).

Gli autori hanno calcolato il rischio attribuibile di popolazione, vale a dire la proporzione di casi attribuibile al mancato impiego di una protezione solare ottimale.

L’impiego di schermi solari con fattore di protezione maggiore o uguale a 15 è risultato associato con una significativa riduzione del rischio di melanoma, rispetto all’impiego di schermi solari con fattore di protezione inferiore a 15 (hazard ratio 0.67, intervallo di confidenza al 95% 0.53 – 0.83).


Il rischio attribuibile di popolazione, vale a dire la potenziale riduzione nell’incidenza di melanoma nelle donne di età compresa tra i 40 e i 75 anni, in caso di impiego universale di schermi solari con fattore di produzione maggiore o uguale a 15, sarebbe pari al 18% (intervallo di confidenza 95%: 4% - 30%).

Lo studio norvegese aggiunge un’evidenza importante a quanto già documentato dallo studio randomizzato condotto in Australia, in cui l’impiego di uno schermo solare ad elevato fattore di protezione aveva determinato una significativa riduzione nell’incidenza di melanoma.

Trattandosi di uno studio non randomizzato, i gruppi confrontati differiscono per alcune caratteristiche importanti: come prevedibile, il gruppo di donne che non avevano fatto alcun uso di protezione solare, erano proprio quelle meno esposte all’abbronzatura, e quindi non sorprende che il rischio di melanoma in questo gruppo fosse inferiore rispetto alle donne che avevano fatto uso di una protezione con basso fattore (inferiore a 15). Il dato interessante è che, nell’ambito delle donne esposte, che avevano fatto uso di una protezione, quelle che avevano usato uno schermo con elevato fattore di protezione presentavano un rischio significativamente inferiore rispetto a quelle che avevano usato uno schermo con fattore inferiore a 15.

C’è bisogno di ulteriori evidenze per raccomandare l’impiego di schermi ad elevato fattore protettivo quando ci si espone al sole? Diremmo proprio di no. Tale misura determinerebbe una netta riduzione dell’incidenza di melanoma, che nello studio norvegese è stata quantificata in una possibile riduzione del 18%.