Miscellanea
Sabato, 02 Luglio 2022

Terapie antitumorali orali: in certi casi è necessario…rincarare la dose.

A cura di Massimo Di Maio

Uno studio olandese ha documentato, mediante prelievi seriati farmacocinetici in corso di terapia, che molti pazienti in trattamento antitumorale orale sono esposti a concentrazioni di farmaco più basse dell’atteso. Ricondurre la concentrazione al di sopra della soglia minima è fattibile, mediante interventi correttivi, in una buona percentuale di casi.

S.L. Groenland, R.A.G. van Eerden, K. Westerdijk, M. Meertens, S.L.W. Koolen, D.J.A.R. Moes, N. de Vries, H. Rosing, H. Otten, A.J.E. Vulink, I.M.E. Desar, A.L.T. Imholz, H. Gelderblom, N.P. van Erp, J.H. Beijnen, R.H.J. Mathijssen, A.D.R. Huitema, N. Steeghs. Therapeutic drug monitoring based precision dosing of oral targeted therapies in oncology: a prospective multicentre study. Annals of Oncology, 2022 ISSN 0923-7534, https://doi.org/10.1016/j.annonc.2022.06.010.

E’ noto che I farmaci antitumorali, in particolare le terapie orali, possono mostrare grande variabilità nelle concentrazioni plasmatiche tra paziente e paziente. La grande maggioranza delle terapie orali viene somministrata a dosaggio fisso, a dispetto delle differenze di peso, di superficie corporea, di metabolismo tra pazienti diversi.

Questo espone alcuni pazienti a rischio di sovraesposizione e conseguente tossicità, ma è altrettanto concreto il rischio di sottoesposizione. Una concentrazione troppo bassa di farmaco può compromettere l’efficacia del trattamento, e di conseguenza andrebbe temuta non meno del rischio di sovraesposizione.

La recente pubblicazione di Annals of Oncology riporta i risultati di uno studio multicentrico prospettico, condotto nei Paesi Bassi.

Erano eleggibili pazienti oncologici che iniziassero un trattamento antitumorale con uno di 24 farmaci orali. Tra i farmaci, terapie ormonali (tamoxifene, abiraterone, enzalutamide), inibitori di tirosino-chinasi etc.

Obiettivo principale dello studio era quello di dimezzare la proporzione di pazienti sottoesposti (con concentrazioni di farmaco inferiori a quelle attese), rispetto alla proporzione stimata sulla base dei dati di letteratura.

I prelievi per i dosaggi farmacocinetici erano eseguiti dopo 4, 8, 12 settimane dall’inizio della terapia, e successivamente ogni 12 settimane.

Quando veniva riscontrata una concentrazione di farmaco al di sotto della soglia predefinita, in assenza di tossicità considerate eccessive, lo studio prevedeva un intervento mirato allo scopo di “correggere” la concentrazione del farmaco (valutazione della compliance da parte del paziente, valutazione accurata delle terapie concomitanti ed eventuali interazioni farmacologiche, per alcuni farmaci modifica della tempistica di assunzione in rapporto ai pasti o in termini di frazionamento della dose, in alcuni casi incremento della dose).

Nel complesso, sono stati inclusi nello studio 600 pazienti, dei quali 552 avevano ricevuto almeno 1 prelievo farmacocinetico e sono stati inclusi nelle analisi, mentre 426 avevano ricevuto almeno 3 prelievi e quindi erano valutabili per l’outcome primario.

Le correzioni sulla base della farmacocinetica hanno ridotto la proporzione di pazienti “sottoesposti”, al momento della terza misurazione farmacocinetica, del 39% (intervallo di confidenza 28 – 49%), rispetto alla proporzione storica. Formalmente, quindi, lo studio non ha raggiunto l’obiettivo primario che prevedeva una riduzione del 50%.

Al momento della terza misurazione farmacocinetica, 110 pazienti dei 426 analizzabii (per una proporzione del 25.8%) avevano concentrazioni di farmaco inferiori al range atteso. In totale, più della metà dei pazienti (294, pari al 53.3%) avevano almeno 1 misurazione farmacocinetica al di sotto della soglia attesa, in uno qualunque dei prelievi.

In 166 di questi pazienti (pari al 56.5%) sono stati messi a punto interventi correttivi, che hanno ottenuto un successo (rientro dei livelli farmacocinetici al di sopra della soglia) nel 74.3% dei casi.

I risultati dello studio olandese sono molto interessanti, per due motivi.
Il primo è che documentano una percentuale molto elevata di casi che, in corso di trattamento antitumorale orale, hanno in realtà delle concentrazioni di farmaco inferiori all’atteso. Questo può avere delle ripercussioni importanti sull’efficacia della terapia.

Il secondo punto interessante è la possibilità di correggere i livelli di farmaco riportandoli entro il range atteso in una percentuale molto elevata di casi. Non si tratta quindi solo di una “fotografia” di sottoesposizione, ma anche un interessante modello “interventistico” di ottimizzazione dei livelli di farmaco effettivamente raggiunti in circolo.

La casistica inserita nello studio era molto eterogenea per tipo di tumore e tipo di farmaco orale, quindi non c’era la numerosità necessaria per studiare separatamente ciascuno dei farmaci. Il risultato complessivo non è applicabile quindi necessariamente a tutti i farmaci studiati, né in termini di proporzione di sottodosaggio né in termini di efficienza della correzione.

Sicuramente alcuni degli interventi applicati nello studio olandese (attento studio delle interazioni farmacocinetiche con i farmaci concomitanti, delle interazioni con i pasti, verifica dell’aderenza terapeutica etc) dovrebbero essere parte integrante della gestione di routine dei pazienti in trattamento antitumorale orale. Questo tipo di gestione migliora l’aderenza terapeutica, riduce i rischi di tossicità severa ed andrebbe perseguito nella pratica clinica, anche in assenza di prelievi farmacocinetici.