Miscellanea
Sabato, 03 Settembre 2016

Tumori a sede primitiva ignota: può venirci in aiuto una “firma” molecolare?

A cura di Massimo Di Maio

Non sono rari i casi in cui, nonostante le indagini strumentali e di laboratorio, non si riesce a identificare la sede di origine di un tumore.. Una firma molecolare basata sulla metilazione del DNA si propone come strumento utile per la definizione diagnostica

Moran, Sebastian et al. Epigenetic profiling to classify cancer of unknown primary: a multicentre, retrospective analysis. The Lancet Oncology published online 26 August 2016

Negli anni recenti abbiamo fortunatamente assistito a notevoli progressi nella sensibilità ed accuratezza della diagnostica per immagini, nonché a importanti miglioramenti nella caratterizzazione immunoistochimica. Nonostante questo, i tumori a sede primitiva ignota rimangono percentualmente molto frequenti.

In generale, pur essendo un gruppo eterogeneo, tali neoplasie sono mediamente caratterizzate da una prognosi sfavorevole. Tale caratteristica può essere in parte attribuita anche all'impossibilità di impostare una terapia realmente "mirata" rispetto alla reale origine del tumore (non soltanto in termini di eventuale impiego di farmaci a bersaglio molecolare, ma anche relativamente all’impiego della chemioterapia più appropriata). Sulla base di quest’ultima considerazione, una migliore capacità diagnostica della sede di origine potrebbe implicare, ragionevolmente, anche un miglioramento dell'outcome.

Lo studio di Moran e colleghi, pubblicato a fine agosto 2016 su Lancet Oncology, si è basato sulla messa a punto di una "firma" molecolare (basata sull’analisi della metilazione del DNA): la firma è stata elaborata e validata su varie migliaia di casi di tumore a sede primitiva ben nota (2790 campioni impiegati per la messa a punto della firma e 7691 campioni impiegati per la validazione). Successivamente, la firma così validata è stata applicata allo studio di 216 casi di tumore a sede primitiva ignota, allo scopo di provare ad “attribuire” una sede grazie alla firma “molecolare”, laddove la diagnostica per immagini e la diagnostica patologica “di routine” non erano state in grado di definire con ragionevole certezza l’origine.

La "performance" diagnostica della firma molecolare in termini di identificazione della corretta sede primitiva è stata validata sulla base della successiva storia clinica dei pazienti, su un’approfondita caratterizzazione immunoistochimica e anche sull'analisi autoptica.

La classificazione delle sedi primitive sulla base della firma molecolare di metilazione del DNA ha mostrato, quando applicata al set di 7691 tumori impiegati per la validazione:

  • specificità pari al 99.6% (intervallo di confidenza al 95%: 99.5–99.7);
  • sensibilità pari al 97.7% (intervallo di confidenza al 95%: 96.1–99.2);
  • valore predittivo positivo pari all’ 88.6% (intervallo di confidenza al 95%: 85.8–91.3);
  • valore predittivo negativo 99.9% (intervallo di confidenza al 95%: 99.9–100.0).

La firma di metilazione del DNA, quando applicata al set di 216 tumori a sede primitiva ignota, ha identificato la sede primitiva in 188 casi (pari all’87%).

Nel gruppo di pazienti con tumore a sede primitiva ignota in cui la firma molecolare ha identificato una sede primitiva, quelli che avevano ricevuto una terapia “appropriata” rispetto alla sede hanno mostrato una sopravvivenza globale significativamente migliore rispetto ai pazienti che avevano ricevuto una terapia “empirica” non appropriata (Hazard ratio 3.24, intervallo di confidenza al 95% 1.42–7.38, log-rank p=0.0029).

Il dato più intrigante della recente pubblicazione di Lancet Oncology è sicuramente il confronto, in termini di sopravvivenza globale, tra i pazienti che avevano ricevuto una terapia “empirica” successivamente rivelatasi “appropriata” per la sede primitiva, in base alla sede suggerita dalla firma di metilazione del DNA, e i pazienti che invece avevano ricevuto una terapia “empirica” rivelatasi poi non appropriata alla sede suggerita dalla firma.

Questo dato sarebbe molto incoraggiante, in quanto documenterebbe che lo sforzo diagnostico di identificare la sede primitiva non sarebbe “fine a se stesso”, ma implicherebbe l’impiego di una terapia più “mirata”, e quindi un miglior outcome. Chiaramente, l’analisi di Moran e colleghi non risponde definitivamente a tale quesito, ma il loro lavoro ha il merito di proporre uno strumento diagnostico potenzialmente molto utile per migliorare la diagnosi e il successivo trattamento.

Sarebbe interessante applicare la firma basata sulla metilazione del DNA a uno studio randomizzato, nel quale i pazienti con tumore a sede primitiva ignota vengano randomizzati in 2 gruppi: un gruppo standard trattato con terapia “empirica” e un gruppo sperimentale trattato con la terapia scelta grazie al risultato della firma molecolare. Endpoint dovrebbe essere la sopravvivenza globale, allo scopo di confermare il dato suggerito dall’analisi di Moran e colleghi.