Miscellanea
Venerdì, 08 Novembre 2019

Vivere nell'instabilità

A cura di Giuseppe Aprile

Lo studio KEYNOTE-158 testa l'attività ed efficacia di pemrolizuamb in pazienti con neoplasia avanzata (non colorettale) e instabilità dei microsatelliti. Quale beneficio clinico? E per chi?

Marabelle A, et al. Efficacy of Pembrolizumab in Patients With Noncolorectal High Microsatellite Instability/Mismatch Repair–Deficient Cancer: Results From the Phase II KEYNOTE-158 Study. J Clin Oncol 2019, epub ahead of print Nov 4th.

Le neoplasie con deficienza del mismatch repair (dMMR) rapppresentano nella fase metastatica una percentuale modesta, ma significativa, pari a circa il 4% del totale. Questi tumori, che possono o meno avere una causa genetica, hanno una caratteristica comune: un tasso di mutazioni che è fino a 100 volte superiore a quello documentato nei tumori stabili. Spesso le mutazioni sono riscontrate nelle piccole sequenze di DNA ripetute (microsatelliti) e in questo caso la definizione è di altra instabilità microsatellitare (MSI-H) e si correla a un elevata espressione sulla superficie cellulare di neoantigeni con un altrettanto elevato infiltrato linfocitario.

Il paradigma dei tumorio con instabilità microsatellitare sono gli adenocarcinomi intestinali. Notoriamente, i tumori colorettali con alta instabilità microsatellitare hanno una prognosi migliore, ma quando in fase avanzata, hanno una minore sensibilità agli agenti antiblastici e una maggiore risposta all'immunoterapia. Ma cosa succede quando trattiamo con un checkpoint inibitiore tumori instabili non colorettali?

Questo era lo scopo del trial KEYNOTE-158, uno studio non randomizzato, in aperto, a coorti parallele (per patologia) nel quale i pazienti con neoplasia MSI-H e buon Performance Status (0-1 secondo ECOG), pretrattati con almeno una linea di terapia convenzionale, hanno ricevuto pembrolizumab alla dose flat di 200 mg ogni 21 gg. Endpoint primario delo studio era il tasso di risposta secondo criteri RECIST; le risposte radiologiche erano valutate centralmente in cieco.

Sono stati arruolati nelo studio 233 pazienti con 27 differenti tipi di neoplasia. Le malattie oncologiche più rappresentate erano i tumori dell'endometrio (21%), le neoplasie gastriche (10%), gli adenocarcinomi pancreatici, delle vie biliari e del piccolo intestino (9% ognuno), le neoplasie ovariche (6.5%) e quelle cerebrali (5.5%). I dati sono stati presentati dopo un follow-up mediano di 13 mesi.

Da notare che un terzo dei pazienti inclusi era molto pretrattato, avendo ricevuto almeno 3 precedenti linee di terapia per la malattia specifica; i pazienti non precedentemente trattati erano solo il 3%.

Nel complesso, il RR è stato del 34% (95%CI 28.3%-40.8%), con una PFS mediana di poco superiore ai 4 mesi e una OS mediana di circa 2 anni (95%CI 13.5 mesi - NR). Al tasso di risposta si deve aggiungere un 18% di casi con malattia stabile, per un disease control rate superiore al 50%.

I pazienti in risposta, inoltre, avevano una probabiltà di mantenerla a 12 mesi del 87% e a 24 mesi del 77%.

Il tasso di risposta, comunque, non era omogeneo tra le differenti neoplasie: pari a quasi il 60% nei tumori endomestriali MSI-H, scendeva al 45% per neoplasie gastriche e colangiocarcinomi, per ridursi allo 0% nei tumori cerebrali primitivi con la stessa caratteristica molecolare.

Gli effetti collaterali sono stati in linea con quelli attesi per un trattamento immunoterapico.

 

Lo studio KEYNOTE-158, in linea con i dati preliminari precedenti, conferma il grande beneficio "agnostico" dell'immunoterapia in pazienti con neoplasia avanzata MSI-H in termini di risposta, che si è confermata durevole nel tempo e rafforza la possibilità di approvazione del farmaco immunoterapico. Grande beneficio in pazienti selezionati a priori: non è questo quello che abbiamo sempre sperato di trovare?