Patologia gastrointestinale
Giovedì, 20 Ottobre 2022

Bloccare FGFR2b: è questa la prima regola del FIGHT club?

A cura di Giuseppe Aprile

Un nuovo agente si affaccia sulla scena del trattamento per il paziente con adenocarcinoma gastrico. Bemarituzumab - anticorpo monoclonale umanizzato che blocca il recettore 2b per fattore di crescita fibroblastico (FGFR2b) - è testato nel trial FIGHT in combinazione a FOLFOX nei tumori avanzati HER2 negativi.

Wainberg ZA, et al. Bemarituzumab in patients with FGFR2b-selected gastric or gastro-oesophageal junction adenocarcinoma (FIGHT): a randomised, double-blind, placebo-controlled, phase 2 study. Lancet Oncol. 2022 Oct 13

Nel trattamento del tumore gastrico e della giunzione gastroesofagea avanzato o metastatico i passi avanti sono veloci. Sia nei tumori HER2 negativi (trial Checkmate 649) che in quelli HER2 positivi (trial Keynote 811) è stato recentemente dimostrato il contributo dell’immunoterapia alla terapia sistemica senza o con inibizione di HER2. Ma anche nella caratterizzazione molecolare della malattia – ovvero nella scia dell’oncologia di precisione - molte sono le novità in arrivo. Tra queste, vi è certamente il bemarituzumab, anticorpo monoclonale ricombinante IgG1 afucosilato first-in-class che leg ail dominio extracellulare di FGFR2b inibendone l’attivazione e incrementa la citotossicità cellulare anticorpo-dipendente verso le cellule che overesprimono il recettore.

In un preliminare report di fase I (Catenacci D, et al. J Clin Oncol 2020) pazienti con carcinoma esofagogastrico FGFR2b overespresso e refrattari alla chemioterapia trattati con bemarituzumab hanno riportato un tasso di risposta radiologica del 18%.

Lo studio FIGHT era stato inizialmente disegnato come un trial di fase III randomizzato (con un ambizioso target di oltre 500 pazienti) partendo dal presupposto che vi fosse un 25% dei pazienti con overespressione e amplificazione del target. In corso d’opera, invece, ci si è resi conto che la simultanea presenza di overespressione determinata in IHC e della amplificazione stabilita dall’analisi del ctDNA era decisamente meno frequente. Lo studio quindi è stato emendato e trasformato in un fase II randomizzato in doppio cieco (studio proof-of-concept) con 910 pazienti screenati inizialmente per portarne 150 circa alla randomizzazione nei due bracci: FOLFOX + placebo vs FOLFOX + bemarituzumab.

Endpoint principale dell trial era la PFS stabilita con giudizio dell’investigatore; endpoint secondari testati gerarchicamente in successione erano il tasso di risposta e la sopravvivenza overall. Tra i fattori di stratificazione ricordiamo la provenienza geografica, l’aver ricevuto o meno una singola somministrazione di FOLFOX durante la fase di screening e l’aver ricevuto o meno un precedente trattamento perioperatorio.

Nel trial di fase II randomizzato 77 pazienti sono stati arruolati al braccio sperimentale (FOLFOX + bemarituzumab) vs 78 a quello standard (FOLFOX + placebo). L’età mediana dei pazienti era circa 60 anni, razza caucasica nel 40% dei casi, la sede della neoplasia a livello gastrico in circa il 90% dei pazienti e ECOG PS 1 nei due terzi dei soggetti arruolati.

L’amplificazione di FGFR2, determinata sul ctDNA e definita come incremento di 1.5x, era presente nel 15% circa dei casi (simultaneamente all’overespressione nel 10%); l’overespressione di FGFR2 determinata con IHC come 2+/3+ in almeno il 5% delle cellule era documentata nel 75% dei casi, se il cut-off era aumentato al 10% la percentuale dei positivi era del 60% circa.

La PFS è stata numericamente superiore nel braccio sperimentale (9.5 mesi vs 7.5 mesi, HR 0.8, 95%CI 0.44-1.04, p=0.07) sebbene la differenza non fosse non statisticamente significativa. In linea con l’endpoint principale, per quanto sia da interpretare con molta cautela il dato in un trial di fase II con un limitato numero di pazienti/eventi, anche la stima della sopravvivenza overall favoriva il gruppo trattato con chemioterapia e bemarituzumab (HR 0.58, 95%CI 0.35-0.95, p=0.027)

Da segnalare per l'uso della terapia sperimentale l’incremento di stomatite, la conferma della nota tossicità corneale del farmaco - effetto di classe degli inibitori di FGFR che ha colpito il 65% dei pazienti trattati - e la registrazione di tre morti tossiche nel braccio sperimentale (due per sepsi, una per polmonite).

Lo studio FIGHT porta un messaggio interessante nell’ottica della scelta terapeutica guidata dall’informazione biologica sulla malattia (in questo caso ottenuta con la combinazione di immunoistochimica su tessuto solido e NGS su ctDNA), ma certamente non cambia la pratica clinica. Il vantaggio dell’aggiunta di bemarituzumab alla terapia standard, peraltro, sembra confermato nel paziente con overespressione di FGFR2, indipendentemente dalla presenza di amplificazione genica.

Tra i limiti della sperimentazione ci sono la modifica del disegno statistico (in corso d’opera si è passati da un disegno di fase III a un trial di fase II randomizzato), il braccio di controllo con sola chemioterapia e l’assenza di informazione sull’outcome del trattamento sperimentale in pazienti con PD-L1 CPS >5.

Al momento, quindi, la prima regola del FIGHT club rimane che non si deve parlare (troppo) del FIGHT club. Perlomeno fino a quando avremo i risultati dei trial di fase III attualmente in corso (FORTITUDE-101 e 102).

E mentre aspettiamo i nuovi capitoli della storia sull'inibizione di FGFR nel carcinoma gastrico, complimenti all'amico Giovanni Cardellino, unico oncologo italiano incluso come coautore nel main manuscript.