Patologia gastrointestinale
Giovedì, 03 Marzo 2016

Sferette radioattive in rampa di lancio

A cura di Giuseppe Aprile

Dopo l’alabarda spaziale di Goldrake, arrivano le sferette radioattive di van Hazel. Caricate con Ytttrio-90, sono micidiali nel controllare le metastasi epatiche da carcinoma colorettale, ma poco efficaci nell’evitare la progressione sistemica.

Van Hazel GA, et al. SIRFLOX: Randomized Phase III Trial Comparing First-Line mFOLFOX6 (Plus or Minus Bevacizumab) Versus mFOLFOX6 (Plus or Minus Bevacizumab) Plus Selective Internal Radiation Therapy in Patients With Metastatic Colorectal Cancer. J Clin Oncol 2016, epub 22 Feb.

L’evoluzione di malattia a livello epatico rimane la principale causa di morte nella maggior parte dei pazienti con lesioni secondarie da carcinoma colorettale non candidati a chirurgia di salvataggio. Nel corso dell’ultimo decennio si è andata intensificando l’attenzione sul trattamento delle metastasi epatiche e con essa il rapporto tra oncologo medico e radiologo interventista.

Tra me molte tecniche utilizzate in questa situazione (radiofrequenza, chemioembolizzazione, elettroporazione, ecc...), trova uno spazio lo sviluppo della radioterapia selettiva (SIRT), una metodica di radioembolizzazione che sfrutta la somministrazione endoarteriosa di microsfere sintetiche caricate con Yttrio-90. Il beta-emittente, produce un effetto di brachiterapia, causando morte cellulare.

Lo studio SIRFLOX, recentemente pubblicato sul J Clin Oncol, ha arruolato pazienti non pretrattati con metastasi epatiche (o prevalentemente epatiche) da CRC non candidati a chirurgia delle metastasi, PS 0-1, senza evidenza di ascite, cirrosi epatica, trombosi o ipertensione portale a ricevere una prima linea di terapia sistemica con FOLFOX (che poteva includere bevacizumab) +/- SIRT. Lo studio prevedeva una stratificazione per la presenza di metastasi extraepatiche, grado di coinvolgimento epatico (> o < del 25% all’imaging basale) e centro di provenienza.

Endpoint primario dello studio era la PFS valutata con revisione centrale blinded. Tra gli endpoint secondari ricordiamo la liver-PFS, il tasso di risposta, le resezioni epatiche secondarie e la safety. La analisi di sopravvivenza era pianificata in combinazione ai dati di altri due studi randomizzati (FOXFIRE e FOXFIRE global), per raggiungere una campione complessivo di oltre 1.100 pazienti.

Lo studio, condotto tra il 2006 e il 2013 ha arruolato 530 pazienti che sono stati randomizzati 1:1 al braccio con sola terapia sistemica (n=263) ovvero alla terapia sistemica + SIRT (n=267).

Mentre la PFS mediana non differiva nei due bracci di trattamento (mPFS 10.2 mesi vs 10.7 mesi, HR 0.93, 95%CI 0.77-1.12, p=0.43), vi era un incremento della liver-PFS mediana di quasi 8 mesi per i pazienti che ricevevano il trattamento sperimentale (12.6 mesi vs 20.5 mesi, HR 0.69, 95%CI 0.55-0.90, p=0.002).

Da notare che in entrambi i bracci nel 75% dei casi la ragione che controindicava la chirurgia era il numero di lesioni epatiche e che la dose di oxaliplatino somministrata nei primi tre cicli era ridotta a 60 mg/mq nei pazienti randomizzati al braccio sperimentale.

Analogamente, mentre il tasso di risposta globale non differiva significativamente, vi era un aumento del tasso di risposte quando si valutava solamente il fegato (RR 79% vs 69%, p=0.04).

Il trial è formalmente negativo nel suo endpoint primario. Tuttavia, dando credito a un endpoint secondario creato ad hoc, la SIRT si conferma una possibile nuova arma terapeutica, da valutare con cautela e da affidare solo a radiologi interventisti esperti in tecniche locoregionali intraepatiche, che ha la potenzialità di rallentare la progressione epatica in pazienti con malattia confinata al fegato non candidata a resezione chirurgica. Si rimane in attesa dei dati di sopravvivenza overall, una volta disponibili i dati dell’intero programma di studio.