Patologia gastrointestinale
Venerdì, 23 Settembre 2016

La parola fine

A cura di Giuseppe Aprile

E' arrivato il momento di accettare la fine. Dell'uso degli antiangiogenici dopo la chirurgia radicale per il tumore del colon. E del paradigma che i farmaci che funzionano nel controllare la malattia metastatica debbano funzionare anche in quella precoce. Almeno in questo, lo studio QUASAR 2 ha convinto tutti. 

Kerr SR, et al. Adjuvant capecitabine plus bevacizumab versus capecitabine alone in patients with colorectal cancer (QUASAR 2): an open-label, randomised phase 3 trial. Lancet Oncol 2016, epub ahead of print Sep 19.

Per anni abbiamo sperato che una categoria di farmaci rivoluzionari nella fase metastatica della ptaologia colorettale potessero portare a simili benefici in setting adiuvante, dove il vantaggio si sarebbe tradotto in un maggior numero di vite salvate.

Ci siamo sbagliati.

Due trial clinici randomizzati NSABP C-08 e AVANT hanno dimostrato che l'aggiunta di bevacizumab ad uno schema di chemioterapia adiuvante con oxaliplatino e fluoropirimidine orali o ev non modificava nella sostanza l'outcome in sopravvivenza dei pazienti. Fiumi di inchiostro e innumerevoli studi sperimentali (la gran parte in retrospettivo) per cercare di spiegarne i motivi. Ancora oggi, a oltre un quinquennio dalla presentazione dei dati, i motivi non sono totalmente chiari.

In questo terreno infertile nasce la pianificazione dello studio QUASAR 2, ideato in Inghilterra (prima del Brexit, ndr) ed esportato in Australia, Nuova Zelanda ed alcuni paesi centroeuropei. Si tratta di un trial randomizzato ben condotto nel quale poco meno di 2.000 pazienti radicalmente operati per adenocarcinoma del colon in stadio III o in stadio HH con alto rischio di recidiva sono stati randomizzati a ricevere capecitabina 1250 mg/mq bid in schedula standard per sei mesi con o senza bevacizumab alla dose di 7.5 mg/Kg ogni 21 gg per un totale di 16 somministrazioni.

Fattori di randomizzaione erano l'età, la sede di malattia, lo stadio e la regione geografica di appartenenza. Endpoint primario dello studio era la DFS a 3 anni, tra gli endpoint secondari la sopravvivenza overall, la DFS nei soli pazienti con stadio III e la safety. Lo studio prevedeva anche una serie di analisi traslazionali su MSI, KRAS, BRAF ed alcuni marcatori di angiogenesi come CD31, che hanno poi generato delle analisi statistiche (queste, tuttavia, non pianificate a priori).

Sono stati randomizzati 968 pazienti al braccio di sola capecitabina e 973 pazienti alla terapia adiuvante di combinazione.

In entrambi i bracci di trattamento, ben bilanciati per caratteristiche basali, il 60% circa dei pazienti era stato operato per un adenocarcinoma in stadio III, il 90% aveva un tumore a sede colica e il 30% aveva oltre 70 anni.

I dati sono presentati dopo un follow-up mediano di circa 5 anni.

DFS a 3 anni (endpoint primario): 75.4% nel braccio sperimentale vs 78.4% nel braccio standard (HR 1.06, 95%CI 0.89-1.25, p=0.54).

OS a 3 anni: 89.4% nel braccio con sola capecitabina vs 87.5% in quello di combinazione (HR 1.11, 95%CI 0.90-1.36 p=0.33).

Non nuovi segnali dal profilo di tossicità, i dati sembrano in linea con quelli di altri studi che hanno testato l'antiangiogenico in setting postoperatorio.

Lo studio è negativo (il terzo) e scrive definitivamente la parola fine.

Sebbene l'analisi traslazionale suggerisca un potenziale beneficio dalla terapia di combinazione (capecitabina + antiangiogenico) per il gruppo di pazienti con instabilità dei microsatelliti o stabilità dei microsatelliti e alta espressione di CD31, l'osservazione ha valore speculativo ma nessuna applicabilità nella pratica clinica.

Se qualcuno di voi stesse pianificando il quarto studio che testa l'antiangiogenico dopo resezione radicale del tumore del colon, onestamente cambierei programma. Abbiamo bisogno di altre strade, nuovi farmaci e idee innovative per poter migliorare l'outcome in questa patologia.